venerdì 17 agosto 2012
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​Il continente africano è alle prese con un fenomeno inedito, legato al processo evolutivo delle economie locali nell’attuale congiuntura internazionale: il rifiuto della cosiddetta "supremazia monetaria statunitense". Infatti, sono sempre più numerosi i governi africani che hanno deciso d’introdurre forti restrizioni nei confronti del dollaro Usa. Le compagnie straniere, particolarmente quelle che operano nel settore delle commodities (fonti energetiche e materie prime alimentari), svolgono le loro attività di compravendita in Africa, ma anche in altre parti del mondo, utilizzando i biglietti verdi. Ne consegue che, nel caso specifico delle valute africane, esse non possano mai crescere e consolidarsi. Inoltre i profitti, generati ad esempio dal business petrolifero, sono sempre stati trasferiti all’estero in dollari,  lasciando in uno stato di sudditanza le economie locali. Il caso nigeriano è emblematico, non foss’altro perché i proventi dell’oro nero, a parte il flusso ininterrotto di denaro nelle tasche di un manipolo di nababbi locali, finiscono sempre e comunque per arricchire a dismisura le multinazionali petrolifere. Ecco perché la politica monetaria africana sta radicalmente cambiando rotta, soprattutto sotto la spinta dei Brics, i nuovi Paesi emergenti: Brasile, Russia, India Cina e Sudafrica.Le autorità angolane, a partire dal prossimo anno, hanno deciso d’imporre  alle società petrolifere straniere di pagare ogni forma di tributo e contratti stipulati in loco utilizzando la divisa locale, il "kwanza". Lo stesso indirizzo, con sfumature diverse, è stato adottato anche dal Mozambico e dallo Zambia. Le autorità di Lusaka, ad esempio, hanno tassativamente proibito di svolgere transazioni in dollari, con la pena, per i trasgressori, di finire in prigione per un massimo di 10 anni. Per non parlare del Ghana, il più fedele alleato di Washington in Africa, secondo cui da ora in poi  i depositi dei correntisti in dollari saranno sottoposti a nuove leggi bancarie, estremamente restrittive soprattutto per quanto concerne il trasferimento dei capitali all’estero. Dietro le quinte vi sono comunque nuovi assetti monetari internazionali che stanno influenzando l’Africa, a partire sia dalla crisi sistemica dell’economia finanziaria globale sia dalla crescita dell’economia reale nei Paesi emergenti. La Cina in primis, d’intesa con gli altri Brics, si sta sempre più orientando nel diversificare le monete, attraverso la creazione di un paniere che includa oltre al dollaro, anche lo yuan, l’euro e altre divise forti, per evitare che le possibili speculazioni sulle piazze finanziarie, con il biglietto verde come moneta unica di riferimento, possano compromettere le sue attività commerciali. Detto questo, il cammino delle economie africane appare sempre più complesso, essendo comunque esposto a nuove forme di colonizzazione. Se da una parte va ricordato che le carestie continuano a mietere vittime - lo scorso anno nel Corno d’Africa, oggi nella fascia saheliana - secondo il Fondo monetario internazionale il Ghana quest’anno crescerà del 13,5%, il Niger del 12,5%, l’Angola del 10,5%. Mediamente, la crescita del Pil, a livello continentale, sarà intorno al 6%, anche se (dato non irrilevante) il nuovo corso dei Brics ha esaltato la tendenza, in parte già in atto, alla concentrazione di elevate proporzioni della ricchezza nelle mani di una piccola minoranza. A riprova che non è tutto oro quello che luccica.
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