mercoledì 19 novembre 2014
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Tra le ponderate considerazioni, le accese discussioni e i loquaci proclami su come uscire realmente dalla morsa della recessione della vita personale, sociale, lavorativa ed economica che stringe il nostro e altri Paesi europei, è sempre presente un riferimento alla formazione culturale e professionale dei giovani. Essa appare urgente per favorire davvero quella 'ripresa' di un’appassionata decisione e creativa innovazione che sa gettare lo sguardo e il cuore oltre l’ostacolo e far fiorire attività di bene individuale e comune. Se private di ricerca, studio e insegnamento che le prepari ad affrontare le nuove sfide che l’ultima rivoluzione storica – la 'rivoluzione della crisi' – lancia loro, le nuove generazioni resteranno senz’ali per decollare verso nuovi e fecondi campi lavorativi da scoprire, dissodare, seminare e irrigare, e la nostra società continuerà ad essere prigioniera di vecchie logiche del lavoro, della produzione, del mercato e della finanza. Questa preoccupazione è realistica, e non è fuori luogo ripeterlo anche quando si guarda all’università che in questi giorni inizia un nuovo anno accademico. Ma l’università non è solo e anzitutto questo: il suo compito – l’'idea di università', riprendendo il titolo del saggio di Newman del 1852, cui si rifece padre Gemelli nel discorso inaugurale del 1955 all’Università Cattolica – non è meramente strumentale in ordine all’innovazione culturale e tecnologica, all’istruzione superiore e alla formazione professionale. È di più ampio respiro e profonda radice. Come l’etimo del suo nome suggerisce, l’orizzonte investigativo ed educativo degli atenei è 'universale': il mandato istituzionale dell’università è quello di spaziare a tutto campo nell’indagine della realtà in ogni suo fattore costitutivo, immanente e trascendente l’uomo e la sua storia, compresa la stessa 'crisi' attuale. Rispetto ad essa, l’università non è chiamata solo ad offrire un qualificato contributo di soluzione strategica e operativa, ma anche – e originalmente – a dischiudere un orizzonte di significato per la persona e la società e un’uscita di sicurezza verso il presente ed il futuro, che raccordi sinergicamente la sapienza della tradizione, il coraggio della novità e la forza di una ragionevole speranza. In questo compito, l’università è lo spazio per eccellenza della libertà. Non ce lo insegna solo la cronaca recente e degli ultimi cinquant’anni, che ha visto nelle università l’alba di movimenti di persone e di generazioni capaci di sfidare sulle piazze un mondo che non regge più il passo con la storia. Lo testimoniano ogni giorno i nostri studenti, quelli che affollano le aule degli atenei che faticano a contenerli: essi percepiscono come corrispondente al desiderio e alle attese che li hanno mossi ad entrare in università l’insegnamento di un sapere e un saper fare solo se esso coltiva una libertà più persuasiva e incisiva di ogni omologazione culturale e strategia di potere dell’uomo sull’uomo, trasmette una fiducia nella capacità della ragione di essere più forte di ogni irrazionalità e più tenace di ogni paura per l’oggi e il domani, e costruisce un ambiente catalizzatore di amicizia personale e sociale. Una cascata di libertà, fiducia e amicizia che – attraverso la ricerca e l’insegnamento – investe e coinvolge docenti, studiosi e studenti, e tracima poi nell’intero Paese. Tra gli universitari che seguiva e amava, il monito del beato Montini – ai cui occhi l’università appariva eminentemente come il luogo della libertà – era a «non restringere le sue aspirazioni spirituali ai problemi immediati del sapere borghese», perché l’università tendenzialmente si identifica con la cultura e quindi con la ragione che tutto vaglia per un’autentica libertà di pensiero e di azione. Esso risuona ancora oggi come un appello a quell’esercizio positivo della critica di ogni assunto (apparentemente scontato) che viene issato a vessillo di un’ammaliante quanto fragile proposta di cambiamento della vita individuale, familiare, sociale, economica e politica. In un tempo nel quale l’esercizio della critica culturale, sociale e politica ai modelli dominanti sia nelle maggioranze che nelle opposizioni viene guardato con sospetto o inimicizia e strumentalizzato per il mantenimento o la conquista del potere, c’è bisogno di una università come scuola di ragione, di libertà e di amicizia civile. Nelle periferie dell’umano, la presenza dei cattolici in università e della Cattolica tra le università è espressione di 'carità intellettuale' – diceva nel 1969 Paolo VI riguardo ai giovani universitari: «Raccogliete il loro grido, ascoltate quello che c’è di vero nel loro appello, rispondete alle loro giuste istanze. Con coraggio e lucidità, accettate le messe in questione necessarie, con audacia e fermezza aprite le vie del futuro». Quale sfida più potente e affascinante per il nuovo anno accademico che si apre?
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