sabato 31 maggio 2014
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​Il forte successo elettorale di Matteo Renzi, il ruolo accresciuto del premier italiano sulla scena internazionale, il risultato deludente di altri leader europei e le possibilità dischiuse dal prossimo semestre italiano di presidenza della Ue sono un’occasione unica per cambiare l’Italia e per cambiare l’Europa. La Ue ha seria e assillante necessità di una primavera e di un rinnovamento di sostanza e di immagine, in grado di riportare l’istituzione al passo coi tempi. E l’Italia, che oggi può propiziare questo recupero di ruolo dell’Europa, ha bisogno di realizzare una svolta altrettanto efficace. Ma per raggiungere l’obiettivo bisogna tracciare una rotta precisa e mantenerla saldamente.Dal lato dell’offerta in proprio a se stessa e ai partner, l’Italia deve prendere a riferimento i famosi 50 spread di economia reale rispetto al livello di riferimento tedesco – efficienza della giustizia e della pubblica amministrazione, costi della burocrazia, banda larga, istruzione, lotta alla corruzione, riduzione dei costi dell’energia e tutti gli altri – lavorando per colmare le distanze e per raggiungere l’eccellenza a livello continentale. Dal punto di vista della domanda di essenziali novità, la diagnosi ormai condivisa da tutti (elettori inclusi) sulla negatività della conduzione sciagurata del periodo post-crisi finanziaria (che ha fatto esplodere nella Ue quei rapporti "malati" debito/Pil che avrebbe dovuto "curare") deve portare a un cambio significativo delle politiche fiscali e monetarie europee. Politiche fiscali espansive anticicliche in parte già esistono (fondi per infrastrutture, per la ricerca,  di garanzia per i giovani), ma vanno rinforzate e scorporate dal computo del deficit. E noi, come italiani, dobbiamo migliorare la capacità di utilizzare questi strumenti, evitando il drammatico spreco dei fondi europei non utilizzati.Sulla necessità di arrivare a politiche diverse del cambio e a una politica monetaria espansiva, tesa a sfruttare il "dividendo monetario della globalizzazione" (possibilità di stampare moneta senza creare inflazione ma rilanciando la domanda) è già stato scritto più volte su queste pagine. Solo oggi, con un ritardo non spiegabile facilmente, dopo quasi un anno da quando anche noi abbiamo sollevato il problema e dopo aver verificato gli esiti delle espansioni monetarie in Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, il presidente della Bce Mario Draghi afferma che a giugno potrebbe esserci il cambio di passo. Meglio ora, che poi. Anche se deve essere chiaro che, se si  vuole salvare la moneta unica, è fondamentale eliminare le asimmetrie che rendono la vita dell’euro così difficile, con obblighi simili per Paesi in surplus e in deficit e un processo di armonizzazione fiscale  ho tarda a svilupparsi e senza il quale proprio Paesi come il nostro (con imposta sulle imprese più alta e pochi margini per agevolazioni agli investimenti esteri) finiscono per pagare il costo più alto dell’Unione. Nelle condizioni attuali, infatti, le imprese hanno un incentivo a spostare utili in Paesi a minor tassazione, e anche questo rende le cifre sulla produzione italiana, e dunque sulla crescita, inferiori rispetto a quelle effettive.Un capitolo a parte merita la bella apertura a una visione diversa di economia delle linee guida sulla riforma del Terzo settore. Le potenzialità che il superamento dei riduzionismi nella concezione dell’impresa, della persona e del valore aprono in termini di fertilità economica e sociale sono immense e richiedono solo di essere valorizzate.In questo dopo elezioni, insomma, sarà importante lavorare per mettere fine all’Europa asimmetrica, pensata come una "grande Germania". I dati elettorali già cominciano a indicarlo, ma la storia un giorno sottolineerà i danni enormi prodotti dalla "supplenza" di Angela Merkel a un’autentica guida politica della Ue in questa delicata fase storica. Il torto di Berlino fino a oggi è stato quello di aver dimenticato la lezione subita, proprio dai tedeschi, dopo la prima guerra mondiale con l’umiliazione del conto impossibile da pagare dei debiti di guerra verso le "potenze vincitrici" che preparò il terreno al nazismo.Conto folle, a cui John M. Keynes si oppose strenuamente. Applicando lo stesso bilancino nei confronti della Grecia, e producendo effetti negativi straordinariamente simili (si veda la crescita di Alba Dorata), la Ue dei funzionari a trazione tedesca si è resa protagonista di una delle stagioni più miopi della storia recente. Ora la cancelliera Merkel può aggiustare la linea e il presidente del Consiglio Renzi ha un’occasione, che non può e non deve essere persa, per sollecitare la svolta e stimolare la costruzione di un’Europa che sappia soccorrere i deboli rimettendoli in marcia, e non umiliandoli per renderli ancora più deboli.La Ue ha però anche e soprattutto bisogno di un cambio di mentalità, di tornare allo spirito del secondo dopoguerra, quando lo choc della tragedia appena vissuta spinse tutti a superare la logica ragionieristica e paralizzante dell’interesse a breve termine e della "giustizia commutativa" e tutti i contraenti del patto furono disposti a condividere risorse, cancellando le colpe del passato per avviare una fase nuova in cui accettavano di correre il rischio di mettere il proprio destino anche nelle mani degli altri. A differenza di quanto accadde dopo la prima guerra mondiale, quelle scelte produssero pace, fraternità, cooperazione politica e relazioni durature. O l’Europa scoprirà queste risorse invisibili, cessando di essere l’Europa di anonimi vigili che applicano un codice della strada sbagliato, oppure non sarà.
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