giovedì 26 febbraio 2015
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Una riforma dovuta. Questo è la legge sulla responsabilità civile dei magistrati che è stata approvata martedì notte in via definitiva dalla Camera. La politica la doveva al Paese, per almeno due motivi. Il primo motivo è ormai divenuto storico: nel lontano 1987, oltre l’80% degli elettori italiani sollecitò, attraverso un referendum abrogativo promosso da tre partiti (radicale, liberale e socialista), una disciplina che chiamasse i giudici a rispondere degli errori commessi per dolo o colpa grave. La risposta del Parlamento arrivò l’anno dopo, con una legge ("firmata" per altro da un eminente giurista, il socialista Giuliano Vassalli, allora Guardasigilli) che era nata per accogliere tale indicazione, ma finì con il neutralizzare la volontà popolare, rendendo di fatto quasi impossibile per il cittadino ottenere il riconoscimento del torto subito.Il secondo motivo, senza il quale probabilmente la riforma non avrebbe visto la luce, risale "soltanto" a quattro anni fa: l’Unione Europea ha ingiunto all’Italia, pena una salatissima procedura d’infrazione che aveva il suo termine ultimo nella data di oggi, di adeguarsi al principio generale di responsabilità degli Stati membri in caso di violazione del diritto comunitario. Se a qualcuno sembra di aver già sentito una storia simile, sappia che non sbaglia. È accaduto anche con le carceri: per riportare quanto meno sotto controllo il numero dei detenuti (ma moltissimo resta da fare in termini di sovraffollamento e di condizioni di vita) è stato necessario arrivare in prossimità della scadenza dell’ultimatum del Consiglio d’Europa.Ma tant’è. In attesa che in Italia si cominci a uscire dal vizio della legislazione "d’emergenza", è importante che, a distanza di quasi 30 anni dal referendum scaturito dall’indignazione per lo scandaloso caso Tortora, la legge sulla responsabilità civile dei giudici sia cambiata. Come? All’insegna dell’equilibrio, assicura il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Non senza ragioni, perché se è vero che il sistema precedente non funzionava e andava perciò modificato, è altrettanto vero che per ben due volte sono stati sventati in Parlamento i tentativi promossi dal deputato leghista Gianluca Pini (e sostenuti, trasversalmente, da non pochi parlamentari) che avrebbero introdotto la responsabilità diretta del magistrato: da uno sbilanciamento evidente a favore dell’ordine giudiziario si sarebbe così passati a uno sbilanciamento di segno opposto. Uno squilibrio che l’Associazione nazionale magistrati continua a vedere e contro il quale protesta.Gli argomenti utilizzati sono, anche questi, già sentiti: è una legge «contro la magistratura», che presenta aspetti «intimidatori» in grado di metterne a rischio l’autonomia e l’indipendenza sancite dalla Costituzione; i cittadini più ricchi potranno permettersi di ricorrere contro il giudice ogni volta che non gradiranno un provvedimento; i tribunali saranno intasati da un diluvio di ricorsi. Ora, considerando che di italiani ricchi ce n’erano anche in passato (e forse in numero maggiore rispetto all’attuale periodo di crisi economica) e che era comunque possibile fare ricorso pure con la precedente normativa, la seconda e la terza motivazione appaiono piuttosto fragili: dal 1988 a ieri le domande accolte sono state soltanto 7 e quelle ammesse (e quindi discusse) sono state circa 400, non si può quindi sostenere che i tribunali distrettuali siano stati assorbiti da questo genere di attività. Non va ignorato certo che la nuova legge amplia i possibili casi di ricorso e allarga il concetto di «colpa grave», né che il filtro di ammissibilità non è più previsto e perciò tutte le istanze dovranno essere giudicate direttamente nel merito, e nemmeno che i cittadini avranno più tempo a disposizione per far valere le proprie ragioni. È possibile, perciò, che le domande aumentino, però resta da vedere quali proporzioni avrà il fenomeno. È davvero difficile pensare, infatti, che ci si imbarchi con faciloneria in una causa in cui si dovrà dimostrare almeno una delle seguenti circostanze: il giudice ha violato «manifestamente» la legge italiana o della Ue, ha travisato fatti o prove, ha assunto il falso per vero, ha preso decisioni non motivate o contro la legge. Non è uno scherzo da ragazzi, per quanto bravo possa essere l’avvocato e per quanto caro possa essere il suo onorario. Forse era il caso di prevedere comunque un freno normativo alle richieste "temerarie" al fine di scoraggiare i più disinvolti, come ha osservato l’ex-magistrato ed ex-presidente della Camera Luciano Violante. Ma solo il tempo potrà confermarlo. Bene ha fatto perciò l’Anm a resistere finora alla "tentazione" dello sciopero. È più ragionevole aspettare di vedere se e come funzionerà la riforma per poi correggere eventuali distorsioni, come hanno proposto il governo e il Consiglio superiore della magistratura.
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