giovedì 1 febbraio 2018
Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici - sia ufficiali sia sotterranei - sono contenti perché sentono Roma più vicina: si fa presente, affronta i loro problemi
Una chiara strada di unità anche per la Chiesa cinese
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Un’ampia intervista del cardinale Pietro Parolin che segue di appena un giorno un inusuale comunicato della sala stampa vaticana, entrambi sull’argomento Cina. Che cosa sta succedendo tra la Santa Sede e il Regno di Mezzo? L’altro ieri, il comunicato ha assicurato tutti che il Papa viene informato dai suoi collaboratori, in specie della Segreteria di Stato, «in maniera fedele e particolareggiata sulla situazione della Chiesa Cattolica in Cina e sui passi del dialogo in corso tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, che Egli accompagna con speciale sollecitudine». E ieri il principale collaboratore di Francesco ha delineato la road map dei contatti sino-vaticani che, dopo il comunicato, si deve ritenere pienamente condivisa dal Papa.

La Santa Sede persegue una finalità non politica ma «spirituale», ha spiegato Parolin, e più precisamente l’unità tra tutti i cattolici cinesi ('illegittimi' e 'legittimi', 'clandestini' e 'ufficiali') in un Paese in cui l’unica Chiesa cattolica («non esistono due Chiese» in Cina) è profondamente lacerata. E, pur nella consapevolezza che «i problemi non possono essere risolti tutti insieme», «una volta considerato adeguatamente il punto della nomina dei vescovi, le restanti difficoltà non dovrebbero più impedire ai cattolici cinesi di vivere in piena comunione tra loro e con il Papa». Il dialogo con il governo cinese sembra dunque mirare oggi ad un accordo sulla nomina dei futuri vescovi, con modalità che ovviamente devono essere accettate da entrambe le parti (del resto, la «libertà della Chiesa e la nomina dei vescovi sono stati temi ricorrenti nei rapporti tra la Santa Sede e gli Stati»: insomma, un accordo con la Repubblica popolare cinese non costituirebbe certo una novità assoluta nella storia della Chiesa). Purtroppo, tutto ciò comporterà inevitabilmente «incomprensioni, fatiche e sofferenze», ma «se a qualcuno viene chiesto un sacrificio, deve essere chiaro a tutti che questo non è il prezzo di uno scambio politico».

Mai, finora, la Santa Sede aveva parlato così chiaramente del dialogo in corso con il governo cinese. Ma ormai siamo vicini ad una svolta che chiuderebbe una ferita aperta da quasi settant’anni. Lo ha rivelato qualche giorno fa l’agenzia Asianews, rompendo il silenzio su trattative che dovevano restare riservate e dando notizia delle richieste rivolte, da parte della S. Sede, a due vescovi sotterranei: fare ciò che fanno i vescovi di tutto il mondo quando compiono settantacinque anni e cioè dimettersi, nel caso dell’ottantottenne Zhuang Jianjian di Shantou; diventare ausiliare di un vescovo ufficiale (e ancora non riconosciuto da Roma), nel caso di Guo Xijin di Funmin-Mindong (ricevendo il riconoscimento del governo per sé e per la sua comunità). Tali informazioni sono state diffuse affermando che la S. Sede sta sacrificando il bene della Chiesa in Cina all’accordo con il governo comunista e quello dei vescovi legittimi a quello degli illegittimi, chiedendo ai pastori fedeli di entrare in una Chiesa scismatica. Il Vaticano, insomma, starebbe 'vendendo' la Chiesa in Cina al regime comunista, ha sintetizzato il cardinale Zen, insinuando una difformità di posizioni tra Francesco e i suoi collaboratori. In questo modo, ha denunciato con 'sorpresa e rammarico' il comunicato vaticano, 'persone di Chiesa' alimentano 'confusione e polemiche'.

Infatti, oltre che pesantemente ostili, queste accuse sono infondate. Quali interessi possono spingere la S. Sede a cercare l’accordo con il governo cinese se non quelli (spirituali) della Chiesa in Cina? E se si chiede ad un vescovo sotterraneo di diventare ausiliare di un illegittimo è perché si pensa che a breve l’illegittimo possa rientrare nella comunione della Chiesa. Infine, ci sono settanta vescovi ufficiali e legittimi che ben tre pontefici non hanno mai condannato: non esiste una Chiesa scismatica in Cina, al cotrario di quanto sostiene il cardinale Zen. È chiaro che non si sta trattando sulla libertà delle persone: su questo terreno, la S. Sede è molto ferma. Si sta discutendo della sistemazione di alcune diocesi, problema indubbiamente rilevante ma non altrettanto drammatico. È umanamente comprensibile che gli interessati possano non esserne contenti. Ma non si può certo parlare di un nuovo caso Mindszenty.

In realtà, papa Francesco sta cercando di realizzare gli obiettivi indicati da Benedetto XVI nella lettera ai cattolici cinesi del 2007. Dopo quasi quarant’anni di dialoghi e trattative, di rotture e riaperture, tutto è stato esaminato infinite volte e qualunque margine di alternativa è stato esplorato a fondo. La strada, insomma, è sostanzialmente obbligata e opporsi all’accordo che si viene concretizzando significa di fatto opporsi alla volontà stessa del papa. Parolin ha parlato di «fedeltà al Successore di Pietro» e di «obbedienza filiale anche quando non tutto appare immediatamente chiaro e comprensibile». Nella storia della Chiesa cattolica l’unità si è sempre fatta con il papa e intorno al papa. Questo principio oggi non conta più? È un problema che oltrepassa i confini del caso cinese.

Il cardinale Zen ha già replicato sul suo blog ed è probabile che la polemica continui. Ma il vero interesse della Chiesa in Cina è altrove. La sfida oggi è utilizzare questo passaggio storico per favorire la rinascita di questa Chiesa. Dopo i cristiani nestoriani del VII secolo, i francescani del Medio evo, i gesuiti del XVI secolo, i missionari occidentali dell’Ottocento e la Chiesa autoctona cinese nata con Benedetto XV e Pio XI, è possibile oggi una nuova rinascita della Chiesa in Cina? È una domanda troppo importante per far prevalere divisioni o polemiche, veri scoop o fake news, strumentalizzazioni politiche o operazioni spregiudicate. Oggi il presidente Xi Jinping interpreta la storia del suo paese dopo il 1949 come succedersi, in sostanziale continuità, di una prima fase, che ha avviato la rinascita cinese alla fine di un secolo di umiliazioni, di una seconda, che ha innestato uno spettacolare sviluppo, e di una terza, appena iniziata, in cui la Cina assumerà il ruolo che le spetta nel mondo. Ci sarà anche per i cattolici cinesi una terza fase dopo quelle della persecuzione e della sopravvivenza?

Tra i cattolici cinesi molte reazioni alle novità diffuse nei giorni scorsi sono positive e anche questa è una notizia. Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici - sia ufficiali sia sotterranei - sono contenti perché sentono Roma più vicina: si fa presente, affronta i loro problemi, testimonia l’interesse dei cattolici di tutto il mondo per loro, indica una strada chiara dopo tante incertezze... C’è un’attesa che si coglie anche dalle vetrate della cattedrale di Pechino, da poco restaurata e che per Pasqua tornerà ad accogliere i fedeli. Su un lato, è rappresentata la storia della Chiesa universale, da Gesù con i primi discepoli ai papi di Roma; sull’altro lato, è raccontata la storia della Chiesa in Cina, compresi missionari come Matteo Ricci e grandi figure come Xu Guangqi. Ma nell’abside le due narrazioni si unificano: è in quella direzione che si rivolgono oggi gli sguardi dei credenti.

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