sabato 6 dicembre 2014
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​Fa un effetto strano e doloroso dover trovare spazio, oggi, sulla stessa prima pagina per due notizie enormemente diverse eppure, alla fine, in qualche modo legate tra di loro. La prima è la notizia del videomessaggio che papa Francesco ha rivolto ai cristiani iracheni scampati ai massacri dei jihadisti dell’Is, ma sradicati dalle loro case e dalle loro terre. Parole accorate e speciali, scandite dopo i molti atti, pensieri e appelli di questi duri mesi lungo i quali il Pontefice ha continuato a sperare di potersi recare di persona, da padre che si stringe ai figli più sofferenti, tra i profughi accolti e raccolti in Kurdistan. La seconda notizia – amara e assai più piccola in proporzione, ma probabilmente destinata ad avere più attenzione e suscitare più clamori secondo la “logica del mondo” – è la notizia dell’inchiesta che la magistratura penale della Città del Vaticano sta conducendo «per un’ipotesi di peculato per operazioni immobiliari avvenute nel periodo 2001–2008» a carico di un legale e di due ex altissimi dirigenti dello Ior, quell’Istituto di opere di religione che nell’attività ordinaria della Santa Sede e nell’attività straordinaria, situazioni appunto come il martirio delle Chiese del Vicino Oriente, rappresenta uno degli utili bracci operativi della Chiesa universale. È qui il legame tra due notizie così diverse, e così diversamente incisive e strazianti. Ed è difficile da concepire e da sopportare.I lettori sanno quanto il garantismo, anche per noi di “Avvenire”, sia tutt’altro che un modo di dire. È parte della più sana cultura civile del nostro popolo (purtroppo intaccata da ritornanti, e non sempre immotivate, ondate di giustizialismo…). Ed è elemento essenziale del nostro stile informativo. Nessuno, davvero, è colpevole sino a che una sentenza definitiva non l’abbia dichiarato tale. Vale del tutto anche in questo caso, anche se ci riferiamo a fatti che riguardano non istituzioni italiane, ma istituzioni di un minuscolo Stato sovrano che rappresenta il presidio e la garanzia dell’indipendenza della Chiesa cattolica, una comunità di credenti che vive e abbraccia ogni continente e praticamente tutte le nazioni della terra. Anzi, potremmo dire che maggior ragione vale per una vicenda che, con una novazione di metodo di evidente significato e di ovvio impatto, è stata portata a conoscenza dell’intera opinione pubblica, ecclesiale ed extraecclesiale, in una fase così precoce degli accertamenti. Anche la “terrena” macchina giudiziaria vaticana è, infatti, strumento di una giustizia pensata e ricercata nella sua forma più alta.Siamo e restiamo, dunque, garantisti. E speriamo, come sempre, che nel processo la verità giudiziaria coincida con quella storica e si dimostri che nessun tradimento è stato in realtà compiuto operando all’interno di un’istituzione concepita per fare solo il bene e già in passato – ahinoi – toccata da scandali.Ma sappiamo anche che accuse come quelle formulate e rese pubbliche contro figure stimate e importanti nella storia dello Ior – Angelo Caloia (per vent’anni presidente) e Lelio Scaletti (già direttore generale) – e contro un legale assai meno noto, non possono essere state formulate con leggerezza dopo la denuncia presentata dall’attuale dirigenza dell’Istituto. Conforta un po’ tutti – denuncianti, indagati e popolo cristiano – sapere che il passo della giustizia vaticana è assai più spedito di quello della giustizia italiana e che è un passo serenamente sicuro. Ma solo questo conforta. Per i cristiani, popolo della speranza, il resto oggi è amarezza. E un doppio dolore.
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