Un calcolo miope sul latte della Sardegna
venerdì 22 febbraio 2019
Il mancato accordo segno che politica e produzione sono lontane Il mancato accordo sul prezzo del latte ovino è il segno che politica e produzione non si parlano più. La scelta dell’industria casearia di abbandonare il tavolo governativo è spiegabile solo con un calcolo da formaggiai: i caseifici stimano che i pastori sono troppo indebitati per rifiutare 72 centesimi al litro (contro gli 80 richiesti con l’impegno di arrivare all’euro) e che i sardi non solidarizzeranno a lungo con chi getta il latte e blocca le strade. Rien ne va plus: prendere o lasciare. È un clamoroso flop per Matteo Salvini, che voleva chiudere in bellezza la campagna elettorale sarda e si ritrova con una crosta di formaggio. Ma è anche un azzardo sociale. Pochi sanno che l’accordo sarebbe stato un enorme regalo ai caseifici che producono Pecorino Romano con latte sardo e nei mesi scorsi hanno splafonato allegramente mandando i prezzi in cantina: ammesso che la bozza riemerga nelle prossime settimane, quell’accordo costerebbe allo Stato, cioè ai contribuenti, 50 milioni di euro senza garantire la soluzione del problema. Aiutare il settore lattiero-caseario non è uno scandalo. Né sul piano internazionale perché l’agricoltura è sussidiata ovunque. Né sul piano dell’etica politica: un Paese ha il diritto di redistribuire la ricchezza per perseguire gli obiettivi di sviluppo e di giustizia sociale che ritiene di interesse nazionale. Tuttavia, la bozza di accordo sul Pecorino Romano celava tre incognite. Le dimensioni dell’intervento finanziario: si sarebbe speso il doppio di quanto spese il centrosinistra per sostenere il Parmigiano Reggiano; non vi era la certezza di riportare i prezzi in equilibrio perché non c’è chiarezza sulle giacenze di Pecorino Romano, quel surplus che pesa sul mercato; l’intervento dello Stato non avrebbe modificato la struttura della filiera del latte ovino sardo che resta una commodity prodotta da una miriade di piccoli allevatori esposti alla volatilità dei prezzi. Le confederazioni agricole hanno lavorato in modo trasparente per la sopravvivenza dei pastori e delle loro famiglie, ma un conto così salato presuppone che ci si impegni a monitorare seriamente l’utilizzo dei soldi, onde evitare di trovarsi daccapo alle prossime elezioni sarde. Evidentemente, qualcuno non vuole dare queste garanzie. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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