mercoledì 7 novembre 2012
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​Beato per la Chiesa. Giusto delle nazioni per Israele. Questi è Odoardo Focherini. Ancora una volta la santità imbocca strade impreviste e, anche, imprevedibili. Ma non certo estranee a chi ha fatto del Vangelo la sua regola di vita e l’ha percorsa fino in fondo credendo che contassero «preghiera, azione, sacrificio», tre parole spesso considerate con sarcasmo da una generazione che si affidava ai valori dello Stato etico proclamato dal Duce. Preghiera, azione, sacrificio che hanno invece segnato in profondità, negli anni tragici della guerra, la vita di non pochi laici cattolici che non hanno esitato – e hanno pagato per questo – a dare testimonianza di fede. Odoardo Focherini è uno di loro. Un uomo libero che ha concluso la sua esistenza nel dicembre 1944 nella tetra prigionìa del lager di Hersbruck, ultima tappa di una serie di trasferimenti in vari campi di concentramento, avendo accanto a sé Teresio Olivelli.Un uomo "normale", lo si potrebbe definire. Con una splendida e amatissima famiglia, moglie e sette figli. Con una professione di prestigio nel mondo delle assicurazioni e dell’editoria che lo avrebbe portato ad assumere anche la carica di amministratore del quotidiano cattolico bolognese L’Avvenire d’Italia accanto al direttore Raimondo Manzini. Con una ininterrotta serie di incarichi dirigenziali nell’Azione cattolica della sua diocesi di Carpi, dove operava tra gli altri un sacerdote "singolare", don Zeno Saltini. Un laico impegnato nella Chiesa e nella società del suo tempo, Focherini, sorretto – come emerge dai suoi scritti (era riuscito a inviarli anche dai lager dove era stato rinchiuso) – da un’intensa spiritualità familiare ed ecclesiale. «Se dovrà tacere la penna, – scriverà alla moglie nel luglio 1944 dal campo di concentramento di Fossoli, dove era detenuto per essersi prodigato instancabilmente a favore degli ebrei braccati dai nazifascisti dopo l’8 settembre – nulla e niente impedirà alla preghiera e al cuore di tenerci sempre in più che affettuosa comunicazione. Il Signore è con noi e noi fidiamo in lui».Con la guerra, la preghiera e l’azione – che la Chiesa non si stancava di richiamare nei fedeli laici, in una stagione drammatica dove sarebbe sempre più emerso che "pietà l’è morta" – si completano a vicenda. E producono in Focherini la scelta, consapevole, di dare se necessario anche la vita per aiutare i «fratelli ebrei». E lo farà con una capacità organizzativa notevole, che gli consentirà di riuscire a salvare più di cento persone, nascoste e accompagnate alla frontiera con la Svizzera grazie a falsi documenti e salvacondotti. Un impegno sfibrante e rischioso, sempre affrontato – come avrebbe poi ricordato uno dei sopravvissuti – con serenità. «Metteva buon umore; era un giullare di Dio, trovava sempre la parola buona, giusta per ogni occasione». Ma Focherini era mosso soprattutto da quella compassione evangelica che avrebbe animato non pochi laici e religiosi – a Carpi, come in altre realtà ecclesiali dell’Italia del Nord sconvolta dalla guerra e dalle rappresaglie – a farsi concretamente solidali con quanti erano esclusi e perseguitati per ragioni di razza o di diversa religione. Le scelte di Focherini – è doveroso sottolinearlo – non sono isolate. Ma piuttosto si inseriscono in comportamenti diffusi, che giustamente ora la Chiesa riconosce: è il Vangelo di Gesù vissuto fino in fondo, quello di Focherini.Ma già la moglie di uno degli ebrei da lui salvati lo aveva colto e confidato. «Odoardo è un santo speciale... un santo sereno... Noi tutti siamo i miracolati di Odoardo». Un santo sereno, a cui guardare con fiducia in tempi di difficile serenità. Un beato giusto.
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