sabato 21 gennaio 2023
Il "no" all’invio dei carri armati Leopard divide Berlino e agita i rapporti nell’Alleanza atlantica. Kiev: fate presto, noi moriamo. Anche l'America più cauta del blocco Londra-Polonia-Paesi baltici
Guerra giorno 332: i fantasmi tedeschi, le divisioni Nato e l'appello di Kiev
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La guerra in Ucraina ha visto il suo 332° giorno, caratterizzato sul campo da una situazione di sostanziale stallo, con combattimenti che proseguono nel Donbass, in particolare ancora intorno a Bakhmut e a Kreminna, nel Donetsk, dove russi e forze di Kiev ottengono piccoli guadagni di terreno a prezzo di forti perdite.

Ma a tenere banco è ancora la questione dei carri armati Leopard 2 tedeschi, simbolo delle divisioni e delle titubanze politiche e strategiche che segnano il fronte occidentale a sostegno della nazione aggredita. Come è noto, all’ottavo incontro di Ramstein fra i ministri della Difesa di Nato e Paesi schierati con l’Ucraina, la Germania ha detto ancora no all’impiego dei suoi tank, ritenuti tra i più performanti sul campo di battaglia e potenzialmente in grado, se schierati massicciamente, di mettere alle corde l’esercito di Mosca.

Attualmente, negli arsenali di 13 Paesi europei sarebbero presenti duemila esemplari di Leopard 2. La legge tedesca prevede che anche per i mezzi esportati si debba avere l’autorizzazione di Berlino per la cessione a terzi. Ciò blocca Polonia e Finlandia, già pronte a spedire i mezzi verso Kiev. Secondo il primo consigliere del presidente Zelensky, Mykhailo Podolyak, “l'indecisione sta uccidendo sempre più persone. Ogni giorno di ritardo vuol dire la morte per molti di noi. Pensate velocemente". Gli strateghi ucraini ritengono che 300 carri armati di quel tipo potrebbero fare la differenza nella prossima offensiva.

Il cancelliere Olaf Scholz ha fatto sapere che il suo Paese darà luce verde quando anche gli Usa concederanno i loro M1 Abrams, altri mezzi ritenuti particolarmente efficienti. Ma da Washington si oppone per ora un rifiuto, in quanto essi sarebbero di difficile gestione da parte di truppe non addestrate. Tutte queste giustificazioni suonano però poco convincenti.

Da un lato la Germania è già la terza fornitrice di armi all’Ucraina, dopo America e Gran Bretagna. E non è chiara la differenza tra artiglieria pesante, altri sistemi offensivi e i carri Leopard 2. Dall’altro, i vertici del Pentagono sanno bene che i militari di Kiev si sono dimostrati estremamente rapidi nell’apprendere come utilizzare nuovi strumenti e particolarmente abili nel riparare o riapprontare tutto ciò che serve al combattimento.

Emergono quindi sia fantasmi interni alla nazione tedesca sia divergenze di linea all’interno dell’Alleanza atlantica. Su questo versante, secondo quanto riferisce il “New York Times”, c'è da una parte il fronte rappresentato da Gran Bretagna-Polonia-Paesi Baltici che preme per l'invio di tank e armi pesanti a Kiev nella convinzione che le forze del presidente Zelensky possano cacciare i russi nei prossimi mesi e vincere la guerra. Dall'altra, gli Stati Uniti.

Il Pentagono, infatti, è su posizioni più caute, in sintonia con la stessa Germania (e la Francia). Per il dipartimento della Difesa Usa, è essenziale cadenzare gli aiuti bellici e soprattutto non "inondare" l’esercito di Kiev con armi che non potrebbero essere usate al meglio. Per gli Stati uniti è importante mantenere “riserve”, nel caso, assai probabile, che il conflitto duri ancora a lungo e Mosca adotti una tattica di logoramento simile a quelle attuate durante la Prima e la Seconda guerra mondiale.

"Sarà molto difficile respingere le forze di Putin entro la fine dell'anno, per questo sarebbe meglio indurre Mosca a una soluzione diplomatica", ha ribadito a Ramstein il capo di Stato maggiore, generale Mark Milley, non nuovo nell’appoggio a posizioni più aperte alla via negoziale, come lo stesso Biden. A Washington sono comunque consapevoli che dal Cremlino non ci sono attualmente cedimenti né concessioni possibili.

Quanto a Berlino, le ragioni sono ben altre. Il Paese, almeno ai suoi vertici, sente ancora la forte responsabilità per quanto accaduto con la guerra portata nel mondo dal regime nazista, cui si possono addebitare in modo più o meno diretto decine di milioni di morti. Per questo, nel dopoguerra, la Germania non ha voluto partecipare ad azioni belliche né ha investito molto nella difesa. Solo con l’invasione dell’Ucraina gli orientamenti sono cambiati.

Gli aiuti e le forniture militari sono subito stati copiosi. Il cancelliere ha annunciato uno stanziamento di 100 miliardi per ammodernare le forze armate e il superamento della quota del 2% del Pil per l’esercito chiesta dalla Nato. Ma alle parole non sono ancora seguiti i fatti. E sui Leopard resta il timore di innescare una nuova escalation su un fronte di guerra vicinissimo alle proprie frontiere (con l’incombente minaccia atomica di Putin). L’opinione pubblica è spaccata. Nel governo prevale forse ancora l’antica Ostpolitik della Spd, caratterizzata dall’apertura al blocco socialista.

Oggi il modo in cui Scholz gestisce la crisi potrebbe rivelarsi un errore che mina l'unità europea proprio nel momento in cui è più necessaria, come gli rimprovera l’opposizione cristiano-democratica, che però in passato non si è discostata da queste scelte quando è stata al potere. Si può infatti affermare che negli ultimi decenni il modello di successo del Paese è stato costruito su tre pilastri: manodopera cinese a basso costo, energia russa a basso costo e garanzie di sicurezza militare americane.

Un funzionario tedesco ha dichiarato alla Cnn che sarà difficile per i politici liberarsi dalle vecchie abitudini: "Hanno una riluttanza intrinseca a schierarsi apertamente con gli Stati Uniti e una malcelata speranza che le relazioni con la Russia possano sistemarsi prima o poi". Si tratta forse di un giudizio troppo duro e semplificatorio, ma è anche vero che uno dei canali Telegram vicini al Gruppo dei mercenari russi Wagner ha postato nelle ultime ore una foto del cancelliere Scholz con la scritta “Eroi dell'operazione Z”.

L’andamento del conflitto in primavera potrebbe dunque dipendere fortemente anche dalle decisioni che saranno prese a Berlino. Molti scommettono che sui Leopard Scholz presto cederà. In ogni caso, sarà una scelta pesante.

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