Trump non basta: Ucraina e Russia sono nella trappola dello stallo
mercoledì 11 giugno 2025

«A volte vedi due bambini piccoli che litigano come pazzi. Si odiano, stanno litigando in un parco, e tu provi a separarli. Loro non vogliono essere separati. A volte è meglio lasciarli litigare un po’ e separarli dopo». Se è questa l’analisi strategica del principale autoproclamato mediatore della guerra russo-ucraina, di cui in realtà è parte in causa dal primo giorno, le prospettive di una tregua duratura dopo 1.204 giorni di combattimenti sembrano, purtroppo, assai ridotte. Dietro le parole di Donald Trump, pronunciate nell’incontro alla Casa Bianca con il cancelliere tedesco Friedrich Merz la scorsa settimana, vi è però una realtà che, pur tragica e complessa, potrebbe essere affrontata con mosse più mirate per portare il presidente russo al tavolo delle trattative.

Leone XIV, impegnato per la pace fin dal momento dell’elezione, ha fatto appello a un gesto significativo che non si è ancora concretizzato. Eppure, non si deve escludere che un percorso diplomatico segnato dalla buona volontà possa finalmente attuarsi. «Il ministero di Pietro è creare relazioni, ponti», ha detto ieri il Papa ai nunzi, nella loro missione ecclesiale modelli di “fraternità umana”. In questo senso, la Santa Sede è attiva e propositiva nella linea detta del “passo dopo passo”, in cui si mira all’attuazione di mini-accordi sequenziali per ricostruire la fiducia tra i contendenti: dallo scambio totale di prigionieri alla restituzione dei bambini rapiti dalle truppe di Mosca fino all’apertura di corridoi commerciali per poi passare, dopo alcuni round, alla trattativa politica vera e propria.

Una strada percorribile inizialmente, destinata tuttavia a scontrarsi con le condizioni che il Cremlino sembra deciso a fare valere nei contenuti fondamentali dell’intesa: riconoscimento dell’annessione formale e totale delle quattro regioni occupate finora parzialmente; neutralità permanente dell’Ucraina e divieto di adesione alla Nato; limitazioni di lungo periodo alle capacità missilistiche e alle dimensioni dell’esercito di Kiev; (forse) impegni per elezioni a breve termine con l’uscita di scena di Zelensky. Ovvero, una resa senza condizioni a chi ha violato il diritto internazionale e commesso crimini di guerra. Gli osservatori militari ritengono che il conflitto sia destinato a restare “a bassa marea e alta intensità”. Non vi sono avanzate significative o cambiamenti territoriali decisivi; nonostante tale stallo territoriale, si registrano violenti bombardamenti quotidiani, uso massiccio di droni e artiglieria, sabotaggi, incursioni, blackout localizzati e perdite umane consistenti da entrambe le parti.

Di fronte a tale situazione, l’ipotesi principale perseguita in queste settimane – un cessate il fuoco di 30 giorni che dia spazio a colloqui approfonditi per gli stadi successivi – si è dimostrata impercorribile per l’opposizione russa. È necessario dunque interrogarsi sulle modalità che potrebbero avere maggiori chance di successo. L’idea migliore finora emersa in diversi consessi è quella di una pressione calibrata su Vladimir Putin, soprattutto per ribaltare uno dei punti chiave che blocca il processo negoziale, cioè l’idea che il tempo giochi a favore di Mosca. Si tratterebbe di un piano che includa un nuovo pacchetto di difesa aerea e missilistica per Kiev (se si proteggono le città, l’offensiva perde efficacia), fornito da Usa e Paesi Nato; il sequestro progressivo (per esempio, 10 miliardi di dollari al mese) di fondi e beni russi congelati finché il Cremlino rifiuta trattative su basi paritarie, accompagnato da un calendario di sanzioni a scalini con lo stesso obiettivo. È una tattica che non prevede un’escalation della guerra guerreggiata, punta invece a fare vacillare il complesso militare-industriale russo, evidenziando che anche per l’aggressore esiste un vantaggio nel negoziato. Sull’altro versante, si può pensare all’utilizzo di pacchetti di incentivi positivi, tramite la revoca parziale di alcune sanzioni su fertilizzanti e settore alimentare a fronte di pause verificabili nei combattimenti.

Il presupposto per l’avvio di una linea simile rimane la solida unità di intenti e volontà di non cedere davanti ai costi economici di Europa e Stati Uniti, una circostanza che oggi, com’è palese, risulta tutt’altro che garantita. Inoltre, due aspetti critici dovrebbero essere affrontati: immaginare un percorso di disimpegno che consenta a Putin di rivendicare qualche “risultato” interno senza imporre la capitolazione dell’Ucraina; e costruire un dispositivo di garanzie e di monitoraggio che renda credibile qualsiasi pausa dei combattimenti. Entrambi i compiti non sono di facile realizzazione, stante l’investimento che il presidente russo ha fatto sulla guerra di invasione e la difficoltà di costituire un contingente di uomini sufficiente per dare continuità al congelamento delle ostilità e rispondere a eventuali violazioni. Che il leader americano possa convincere il suo omologo di Mosca con “carte”, come ama dire, diverse da quelle qui descritte sta diventando sempre meno plausibile. Soprattutto quando valuta “giustificata” la ritorsione su obiettivi civili ucraini (l’altra notte ulteriormente intensificata) per l’attacco ai vettori nucleari russi. Si dovrebbe pertanto imboccare al più presto una strada che porti il Cremlino verso la convinzione che l’Occidente non abbandonerà l’Ucraina e il suo popolo a un destino di mutilazione e sottomissione, offrendo allo stesso tempo una via di uscita dal mattatoio che sta decimando le giovani generazioni di due grandi Paesi. Non c’è da illudersi che qualche soluzione sia vicina, non impegnarsi al massimo per cercarla, con intelligenza e disponibilità a sostenerne gli oneri, sarebbe un errore che più si allunga il conflitto più costerà caro a tutti.


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