venerdì 15 luglio 2016
La morte di Provenzano: tristi e feroci vite da cani inseguendo il potere
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A proposito di Bernardo Provenzano, è interessante sapere come dava gli ordini, come controllava che fossero eseguiti, come si assicurava che l’obbedienza fosse garantita prima che gli ordini partissero. È interessante sapere come chi ha un impero (del bene o del male) mantiene le comunicazioni dentro l’impero, se si serve di corrieri, internet, radio, telefono. Ma è interessante anche sapere come vive il capo di un impero economico, perché il tenore della sua vita (agi, lussi, ville, alberghi, yacht, elicottero...) può spiegare perché fa quella vita, perché ammazza ed è pronto a farsi ammazzare, lui, la moglie, i figli.  Ma tutto questo in Provenzano non quadra. Era straricco, controllava ricchezze proprie e altrui. Faceva e disfaceva fortune. Aveva potere. Come tutti i capi di cosa nostra. Ma vivono da disperati. Braccati. Nascosti. In latitanza dormono in brandine scomode e rigide. Cambiano le lenzuola raramente. Passano così mesi, anni, decenni. Uno, proprio Provenzano, lo han catturato in un casolare sperduto, che spiavano da lontano col binocolo: han visto un pastore che di notte depositava davanti alla porta una mozzarella, e all’alba una mano che sporgeva da una fessura per afferrarla. Era il latitante. Un altro lo han trovato facendo irruzione in un’anonima casetta di quartiere. I boss italiani vivono da cani. I boss americani bazzicano case da gioco e hanno molte donne. Riina considerava un disonore avere un’altra donna oltre alla moglie. Che cosa amano della vita questi boss che uccidono essere umani come fossero cani e vivono loro stessi da cani? Qual è il premio degli imboscamenti, del sottoporsi a operazioni chirurgiche sotto falso nome, del sospettare tradimenti sempre e ovunque? Cosa volevano, vivendo come vivevano, Riina e Provenzano? Cosa vuole Messina Denaro? Il potere. Non mollano il potere. Il potere è un valore tragico, impone a chi lo vuole di vivere tragicamente, pronto a dare e ricevere la morte. L’incarnazione della sete di potere è Macbeth. Il Padrino vuole il potere per la famiglia, e la strada che lo porta al potere è seminata di cadaveri di famigliari. La famiglia fa sua la morale del boss, quello che il boss fa lo fa per lei, quindi è bene. Se il boss ammazza, questo non riguarda la famiglia: Salvo Riina, figlio di Totò, sente che suo padre ha ammazzato questo e quello, ma nel suo libro scrive: «A me non ha mai fatto mancare nulla, perciò è un buon padre, e io lo amo». I famigliari di Riina e Provenzano non si sono mai chiesti perché il loro parente stava al 41 bis. Se il loro parente merita di essere amato, ma lo Stato lo chiude al 41bis, allora lo Stato è ingiusto e colpevole. I messaggi che i famigliari lanciano sono messaggi mafiosi. Indicano che la concezione della famiglia come anti-Stato è passata dal padre al figlio. Le famiglie che hanno parenti mafiosi al 41bis non sentono i parenti come assassini, ma sentono lo Stato come assassino. La carcerazione al 41 bis è una forma di morte: il carcere normale è una terapia medica, il carcere duro è una terapia chirurgica. Il condannato al carcere duro viene amputato dalla società, tagliato via, non parla, non scrive, non tocca, non bacia. Una condanna al 41 bis non condanna il criminale soltanto, ma la sua famiglia tutta. E lo Stato che si difende da una cellula anti-Stato. Mi rivolgo al figlio di Riina, che vive nella mia città (al confino) e spero che mi senta: se vieni a sapere che tuo padre è un assassino, non lo ami elogiandolo, ma correggendolo.
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