venerdì 21 ottobre 2011
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Che cosa si attende il Paese da un maggior impegno dei cattolici in politica? In questo periodo di disorientamento, perplessità, disagio, distacco, persino avversione per la politica, a causa dell’oscura fase che questa sta attraversando, cresce l’aspettativa per un più incisivo e organico apporto del mondo cattolico nella speranza che, come accaduto in passato, possa contribuire fattivamente a risollevare le sorti di un’Italia che – nonostante le sue risorse e le sue energie positive – sembrerebbe destinata a marginalizzazione e a degrado.Più precisamente: che ci si può attendere dai cattolici, i quali dal canto loro mostrano un crescente senso di insofferenza per una situazione che sarebbe inaccettabile, senza concrete e condivisibili prospettive di superamento?Come noto le idee al riguardo sono diverse, dalle nostalgiche e ricorrenti ipotesi circa un ritorno all’unità politico-partitica del passato alla spinta a ripensare e a riorganizzare in modo coerente e virtuoso il nostro sistema bipolare; così come molte sono le suggestioni sul terreno concreto – che poi è quello proprio della autentica politica – delle riforme istituzionali e sociali, di una nuova economia, di una rivalutazione della società civile in un rapporto nuovo con lo Stato. Tutto discutibile, ovviamente. E varie cose giuste.Credo tuttavia che, prima e al di sopra delle cose concrete da fare, una più incisiva presenza dei cattolici in politica dovrebbe rispondere ad alcune urgenze. Qui vorrei concentrarmi su tre di esse che giudico assolutamente preliminari e che ritengo sia imprescindibile soddisfare, come condizione per poter poi rinnovare profondamente e concretamente l’azione politica.La prima urgenza è quella di recuperare il senso etico nell’agire politico. Troppo spesso si è predicato in passato, non di rado nelle frenesie di un irrazionale laicismo che confonde l’etica con la religione, la separatezza tra etica e politica; troppo spesso si è predicata la distinzione e separazione tra etica privata ed etica pubblica, quasi che questa non sia ineluttabilmente la proiezione pubblica della prima. Non ci sono norme giuridiche che tengano, e neppure codici deontologici particolarmente raffinati o corti di disciplina rigorose, se non sono fondati su un sentire etico radicato e alto. Per evitare le degenerazioni che abbiamo conosciuto – o che abbiamo visto tentare – e non solo nel corpo politico ma anche in altre "sfere" di potere e della classe dirigente è necessaria una forte iniezione di elementi valoriali.La seconda urgenza è quella di recuperare il senso dell’impegno politico come servizio. Di fronte ai cattivi esempi che sono sotto gli occhi di tutti e che finiscono per sovrastare quelli buoni (che pure non mancano), al cospetto di una concezione dominativa del potere politico che proietta l’immagine di una "casta" – come oggi si suol dire – preoccupata di perpetuare sé stessa e i propri privilegi, prendendo atto di un allontanarsi progressivo delle istituzioni politiche dal contatto con i cittadini e l’intera società, occorre reimmettere nel mondo politico il senso che, come diceva Caterina da Siena, «la città è prestata», non è cosa propria, della propria famiglia, del proprio gruppo; è data per un tempo determinato.La terza urgenza riguarda il superamento di una concezione dell’agire politico forgiata dall’idea della contrapposizione tra amico e nemico, quasi che le democrazie siano campi di battaglia in cui la vittoria è lasciata alla forza materiale e non alla forza della ragione. Occorre lasciare da parte una volta per tutte le criminalizzazioni o le ridicolizzazioni dell’avversario politico, per tornare al confronto – anche serrato, anche forte, anche polemico, ma serio e costruttivo – delle idee, delle proposte, dei progetti concreti.
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