Covid: ciò che non s’è fatto e ora serve
domenica 1 novembre 2020

Molti scienziati, in particolare quelli di sanità pubblica, che si trovano a cavallo tra scienza e decisione politica, soffrono della sindrome di Cassandra. Intendiamoci, non la vera patologia che porta a un comportamento eccessivamente pessimista e dallo sfondo ossessivomaniacale, ma quello stato d’animo di chi sa di avere ragione e di non essere mai creduto. Gli esseri umani, infatti, tendono a privilegiare i vantaggi immediati e a sottovalutare i rischi, in particolare quelli non imminenti.

Dicevo: «Una seconda ondata di epidemia in autunno, più che un’ipotesi è una certezza. Fino a quando non avremo un vaccino ci saranno nuove ondate o, speriamo, tanti piccoli focolai epidemici che andranno contenuti», 17 aprile 2020. «Di questo passo arriviamo a 16mila casi. Siamo sulla lama del rasoio, dobbiamo agire subito», 7 ottobre 2020. «Non si può aspettare: alcuni lockdown mirati vanno fatti subito, ora bastano due settimane. Dopo non più», 19 ottobre 2020.

Oggi viviamo la crisi più grave dalla Seconda guerra mondiale e, in ogni crisi, i leader hanno due responsabilità ugualmente importanti: risolvere il problema immediato e impedire che si ripeta. La pandemia di Covid-19 ci impone di salvare vite umane ora, migliorando al contempo il modo in cui, in generale, rispondiamo alle epidemie. Il primo punto è più urgente, ma il secondo ha conseguenze cruciali a lungo termine.

Quando si concluderà, la pandemia da nuovo coronavirus diverrà un evento che verrà studiato sotto tutti i punti di vista: scientifico, organizzativo, tecnico, gestionale, comunicativo e politico, ma è già possibile acquisire alcune informazioni che potranno esserci utili per comprendere meglio ed evitare gli errori che oggi si stanno commettendo. L’Italia, il primo Paese occidentale tragicamente colpito, aveva reagito ottimamente fino all’estate, ma oggi paga un prezzo altissimo alla frammentazione del suo sistema di governo.

La nostra Costituzione attribuisce alle Regioni le competenze organizzative e gestionali in Sanità e se questo determina 'solo' l’aumento delle disuguaglianze in tempi normali, in caso di epidemia determina purtroppo la rapida diffusione dei virus a livello sia regionale sia nazionale. Durante le epidemie vi è, infatti, la necessità di un’unica catena di comando e comunicazione, basate sull’evidenza scientifica, per evitare che le mediazioni legate alle diverse sensibilità politiche facciano perdere tempo prezioso e, soprattutto, favoriscano un processo decisionale frammentato ed eterogeneo, a maggior ragione se questo porta a decisioni incongruenti con l’evidenza scientifica.

Il 25 febbraio 2020 sottolineavo: «Oggi abbiamo dei cluster secondari in Italia, riguardanti cioè delle persone che non sono mai andate in Cina. Deve quindi necessariamente anche modificarsi il nostro approccio al problema. Diventa a questo punto necessario imporre una catena di comando coordinata che superi la tradizionale frammentarietà del Servizio sanitario nazionale italiano. Sono necessarie procedure di epidemiologia di campo per il contenimento del virus.

La cosa più importante non è soltanto la risoluzione del focolaio epidemico lombardo o veneto, ma anche quella di evitare che il virus si diffonda nell’intero Paese. E per fare questo, lo ripeto ancora una volta, c’è bisogno di un’unica catena di comando che dia indicazioni chiare ed inderogabili a tutte quante le autorità sanitarie regionali e locali». Rileggendo queste frasi mi viene in mente Charles-Maurice de Talleyrand, vescovo cattolico, politico e diplomatico francese che servì prima la monarchia di Luigi XVI, poi i capi della Rivoluzione francese in tutte le sue fasi, quindi Napoleone e poi di nuovo la monarchia, questa volta di Luigi XVIII, fratello e successore del primo monarca servito.

Persona di grande intelligenza politica e anticipatore dei suoi tempi, dimostrò di saper vedere nel futuro molto più lontano di quanto sapessero fare i suoi contemporanei e a chi lo accusava di camaleontismo per aver consigliato così tanti politici di diverse, talvolta opposte ideologie, rispondeva: io avevo ragione, sono loro, come si evince dalle loro scelte, che avevano torto. Aver ignorato le evidenze da parte di tanti politici ha riportato l’epidemia al punto di partenza e questo oggi vuol dire aver vanificato i sacrifici che milioni di cittadini hanno fatto e ricominciare da capo, peraltro in condizioni più difficili sia dal punto di vista climatico che epidemiologico e psicologico.

Gli esperti di sanità pubblica non parlano per avere ragione 'dopo', studiano per affrontare condizioni critiche per la salute dei cittadini e organizzare al meglio le strutture che devono affrontarle. Ricordare di averlo detto a suo tempo non procura perciò alcun piacere, aumenta solo il rammarico per ciò che era possibile fare e non è stato fatto da chi aveva la responsabilità di decidere. E ora rimbocchiamoci le maniche c’è una nuova battaglia di salute pubblica da affrontare per il bene di tutti.

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