Toccherà a magistrati e avvocati far girare la riforma tira-e-molla
venerdì 30 luglio 2021

È complicato spiegare che cosa è successo ieri attorno alla riforma del processo penale, uno dei pilastri della nuova (speriamo) Italia disegnata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sostenuto da copiosi fondi dell’Unione Europea. È complicato spiegarlo soprattutto a chi è abituato a ragionare secondo criteri di linearità e consequenzialità. Perché da ministri che hanno già dato il proprio via libera all’impianto proposto dalla collega titolare della Giustizia Marta Cartabia e poi anche votato per autorizzare il presidente del Consiglio Mario Draghi a porre su quello la questione di fiducia, ci si sarebbe aspettato un comportamento analogo, nel momento decisivo. Al netto, s’intende, della legittima richiesta di qualche leggera modifica. Invece ieri il tira-e-molla sui processi soggetti a improcedibilità in appello e in Cassazione, e sui tempi della stessa, è durato ben otto ore, da sommare alla continua trattativa intessuta nei giorni precedenti. E soprattutto, se ne è fatta una questione di partito, nel caso specifico il Movimento 5 Stelle.

Così abbiamo dovuto assistere a un film già visto troppe volte all’epoca dei governi giallo-verde e giallo-rosso presieduti da Giuseppe Conte, anche in questo caso protagonista, ma stavolta nelle vesti di leader (in pectore, per la verità) di un partito di maggioranza: un Consiglio dei ministri convocato alle 11,30 è terminato poco prima delle 19, dopo una lunga sospensione in attesa che terminasse la triangolazione tra Conte, i ministri e i gruppi parlamentari per definire la posizione ultima del M5s. Si dice che qualcuno, nella delegazione pentastellata al governo, abbia vissuto con un certo disagio le interminabili ore di stallo. Non stentiamo a crederlo. Né risulta inverosimile la voce, che circolava ieri sera, di un Draghi piuttosto irritato per come sì è svolta la giornata.

È stato un gioco al rialzo in extremis in cui si è rischiato di far saltare il tavolo e, con esso, la credibilità del Paese. Perché l’astensione dei rappresentanti 5 stelle a Palazzo Chigi sarebbe stato un colpo duro alla solidità del governo. Alla fine ciò non è accaduto e il provvedimento è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. Ora tutti i partiti della variegata maggioranza cantano vittoria, dicendo di aver visto prevalere la propria impostazione. E la ministra Cartabia, ben consapevole della strettoia attraverso cui doveva passare, può dirsi soddisfatta. Tutto comprensibile. Ma le concessioni fatte, a un primo esame, sembrano andare oltre gli «aggiustamenti tecnici» che erano stati annunciati: di proroga in proroga, di eccezione in eccezione, il meccanismo dell’improcedibilità (che dovrebbe avere una funzione 'accelerante' dei giudizi in appello e in Cassazione) potrebbe rivelarsi un’arma spuntata. Non resta che sperare nell’incisività di altre norme, come quella che rimodula i termini delle indagini preliminari e obbliga il pm a chiedere l’archiviazione quando gli elementi acquisiti «non consentono una ragionevole previsione di condanna».

Non va dimenticato, infatti, che questa riforma nasce per accorciare del 25% la durata, non di rado scandalosa, dei procedimenti penali. Un risultato ragionevole e tuttavia impegnativo, dato il contesto italiano, che non arriverà per magia né soltanto in forza dell’intervento normativo, come sembra invece pretendersi da più parti. Il successo dipenderà dalla collaborazione di tutti i soggetti chiamati a 'vivere' e a far funzionare la riforma, a cominciare dalla magistratura e dall’avvocatura.

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