venerdì 26 ottobre 2012
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«Che cosa farebbe Gesù, il Gesù che amo e servo, che cosa farebbe se fosse qui e adesso?». È solo fantasia, impossibile sapere se don Oreste Benzi abbia mai formulato questo pensiero con queste precise parole. Ma nessuno ci proibisce di esserne convinti. E allora, che cosa avrebbe fatto Gesù? Quello che fece. Si sarebbe messo in ginocchio e avrebbe pregato. Per unirsi al Padre, per invitarlo a scendere. E agire come se agisse Lui. Tra gli uomini, dentro la storia.E se il "segreto" di don Oreste fosse stato nient’altro che questo? E se il segreto della Chiesa, in duemila anni di storia, fosse proprio questo? E se don Oreste non fosse un cavaliere solitario, un eroe sbucato dal nulla, ma l’espressione di una comunità che nonostante inefficienze, tradimenti, pigrizie, cadute, peccati... in venti secoli è sempre stata incarnata, radicata in mezzo agli uomini, capace di coglierne le grida – le gioie e i dolori... – espresse e inespresse, palesi e nascoste?Questo sono e sono stati i santi. Punte di diamante capaci di incidere a fondo nel cuore delle singole persone e nel tessuto sociale, testimoniando l’amore di Dio ovunque, ma a partire da là dove più ce ne fosse bisogno, là dove nessun altro c’era. Inventare un nuovo modello comunitario ed economico, non a caso fondato sulla preghiera, quando il caos sembrava travolgere tutto; abbracciare povertà e distacco quando le cose e il potere stavano imponendo la propria tirannia; educare quando nessuno educava, curare quando nessuno curava, consigliare i potenti e assistere i miserabili, nello stesso tempo; e poi i ragazzi abbandonati e le ragazze reiette, gli emigrati trattati come merce e i lavoratori sfruttati come bestie; e infine, con don Oreste e gli altri santi di questi nostri tempi, riscattare le schiave, considerate oggetti di piacere, come in passato altri santi riscattavano i prigionieri ridotti in catene; abbracciare i nuovi lebbrosi, i troppi giovani fulminati dalle droghe o dal mortale male di vivere; accarezzare i bambini nati ma mai desiderati, amandoli e custodendoli, dando loro una famiglia proprio quando la famiglia si sbriciola e viene teorizzata, sciaguratamente, la sua scomparsa dalla scena della storia.Santi... Don Oreste non lo è ancora e potrebbe non esserlo proclamato mai. Ma per la ragazza nigeriana strappata alla schiavitù del marciapiede e di maschi padroni e tiranni; per i tanti che lo hanno visto correre e pregare, pregare e correre, senza fermarsi mai... per tutti costoro santo lo è da sempre. Don Oreste, a modo suo, è stato un’icona della Chiesa. Antica e futura, innamorata delle sue radici ma avanti, capace di anticipare sensibilità e attenzioni e problemi. Avvolto nella sua tonaca lisa senza tempo, don Oreste vedeva ciò che gli altri, tutti gli altri non sapevano vedere. Quella sua tonaca era una sorta di icona – forse l’equivalente del costume dei supereroi; sentiva il bisogno di indossarla per fare quel passo indietro che gli consentiva di compiere un balzo in avanti. Come cerca di fare la Chiesa tutta intera, di cui don Oreste è figlio, di cui tutti i santi sono figli. Dentro la storia fino a mescolarsi a essa; ma dopo aver compiuto un passo all’indietro. Per poi tuffarsi. Proprio come fece il Padre, per un irresistibile atto d’amore.
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