mercoledì 2 giugno 2010
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Caro direttore,i briganti hanno ucciso il buon samaritano che soccorreva la loro vittima. Gli israeliani hanno sparato contro coloro che portavano aiuti a Gaza. Può esserci azione più nefanda? Eppure si resta muti. Non per la particolare crudeltà del crimine, ma perché non ci si può indignare ogni volta, come se mai fosse successo prima, e sapendo che succederà ancora molte volte, forse sempre, sino a che l’umanità non scomparirà dalla faccia della terra. E la terra, muta, e le stelle mute, serberanno il ricordo delle nefandezze compiute dagli uomini. Non esiste un popolo buono e un altro cattivo. Tutti i popoli, ora possono essere vittima, ora carnefici. Anche il popolo più civile e più democratico del mondo all’occorrenza diventa carnefice. Il guasto è nella natura umana. Gli uomini sono capaci di programmare il male. Ieri a essere maltrattati, come il «servo conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si copre la faccia», erano membri del popolo di Dio, del popolo di Isaia; oggi membri del popolo di Dio, del popolo eletto, con elmetto e la faccia coperta, non certo per ribrezzo davanti al «servo sofferente», sono i maltrattatori. La differenza tante volte non nella qualità del male compiuto, ma solo nella quantità.

Elisa Merlo

Caro direttore,è veramente grottesco chiamare "pacifisti" i partecipanti al convoglio navale intercettato dalle forze israeliane mentre cercava di forzare il blocco di Gaza. Dei pacifisti non avrebbero tentato di fare letteralmente a pezzi i soldati israeliani, che hanno dovuto sparare per difendersi. Dei pacifisti che avessero davvero a cuore la popolazione di Gaza avrebbero accettato di sbarcare gli aiuti nel porto di Ashdod, come proposto da Israele, per poi farli arrivare via terra a Gaza, scortati da osservatori internazionali. Posso essere d’accordo sul fatto che l’intervento delle forze israeliane sia stato inappropriato nelle modalità (meglio sarebbe stato evitare un contatto diretto), ma sia chiaro che si è trattato di una provocazione accuratamente pianificata, che ha ottenuto esattamente lo scopo voluto: uno scontro con spargimento di sangue per mettere ancora una volta Israele sul banco degli imputati e delegittimarne l’esistenza. Altro che "pacifisti". E bisogna capire che il blocco navale di Gaza per Israele è una necessità vitale, poiché senza tale blocco Hamas verrebbe giornalmente rifornita di materiale bellico con il quale potrebbe realizzare una autentica e devastante escalation negli attacchi terroristici ai danni dei civili israeliani (e non solo). D’altra parte lo stesso Egitto mantiene chiusa e sotto stretta sorveglianza la propria frontiera con Gaza: evidentemente le milizie di Hamas non sono un problema solo per Israele. Riuscirà l’Occidente ad aprire gli occhi e a capire la reale posta in gioco?

Mauro Zanzi

Caro direttore,quello che hanno combinato i militari israeliani è stato visto da chiunque avesse la possibilità di guardare un programma televisivo o di collegarsi a internet per leggere le notizie. Pochi mesi fa, era la fine di gennaio, durante una sua visita ufficiale in quello Stato, Berlusconi auspicava, anzi sognava Israele nell’Unione Europea. Sia chiaro: non mi metto a puntare il dito contro Israele, non si può criticare la sua politica in Medio Oriente e chi lo fa rischia di passare per antisemita... Mi limito a notare come Israele costantemente ignori le risoluzioni delle Nazioni Unite; si può pretendere che un domani possa ubbidire alle direttive che arrivano da Bruxelles?

Anna Mosene

Credo, cari amici lettori, che quanto è accaduto lunedì nelle acque del Mediterraneo orientale sia gravissimo. E credo anche che chi nutre sentimenti di amicizia e di rispetto per Israele debba esserne più sconvolto e allarmato. La strage sulla "Mavi Marmara" lascia, infatti, una ferita profonda e difficile da rimarginare. Perché è palese la sproporzione tra la presunta capacità di offesa dei "pacifisti" (secondo lo stesso premier israeliano avrebbero impugnato «biglie e bastoni») e le armi usate dalle forze militari dello Stato ebraico. Ma anche questa ferita, come tutte quelle che l’hanno preceduta, dovrà essere curata con infinita dedizione. La rinuncia alla violenza e la costruzione in Terra Santa di una pace giusta e vera sono necessarie. E proprio nel momento in cui ai più possono apparire una impresa disperata devono diventare un impegno inevitabile per chi, responsabilimente, guarda lontano.
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