sabato 24 settembre 2011
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Caro direttore,
ho letto la sua risposta del 23 settembre alla lettera proveniente da Chiari (Bs). Ho molto apprezzato la prima parte della risposta, riguardante la cattiva educazione civica che non permette a molti italiani di capire l’importanza di partecipare alla spesa per il bene comune. Poiché i beni pubblici hanno un costo, che è pagato proprio con le imposte, dovremmo considerare negativamente chi, evadendo, fruisce "a sbafo" dei beni pubblici scaricandone il costo sugli onesti. Mi permetto invece di dissentire sulla seconda parte della sua risposta. Il contrasto di interessi sistematico da lei auspicato non funziona o funziona male solo per la differenza dei numeri in gioco. Consentire in maniera generalizzata detrazioni dall’imponibile o dall’imposta a fronte delle spese quotidiane significherebbe di fatto detassare i consumi: l’imposta recuperata ai fornitori verrebbe in qualche modo "restituita" ai consumatori, dando vita – oltre che a un sistema di difficilissima gestione – a una redistribuzione di risorse di cui è assai discutibile sia l’opportunità, sia l’efficacia in termini di gettito.
 
Non va dimenticato, inoltre, che per il fornitore l’Iva è neutrale (non la incamera, la riversa all’Erario). Il suo "risparmio" a non emettere la fattura è nell’imposta sul reddito. E poiché l’aliquota di quest’ultima è più alta di quella dell’Iva, il fornitore potrebbe sempre offrire al consumatore "connivente" uno sconto più alto dell’Iva che il consumatore stesso potrebbe recuperare (a distanza di tempo, anche di un anno) in dichiarazione allegando la fattura.
 
Non c’è dubbio che in alcuni casi il conflitto di interessi possa essere utile (un esempio in tal senso ce lo forniscono le detrazioni, in vigore ormai da quasi 15 anni, sulle spese per ristrutturazioni edilizie). Ma è un meccanismo che può essere previsto (e infatti il nostro ordinamento lo prevede) in casi ben precisi: ad esempio, per spese con alta rilevanza sociale (tipicamente, le spese mediche) o per settori ad alta evasione (le citate detrazioni edilizie). Non certo come regola generale. E del resto in nessuno Stato esiste un esteso sistema di "contrasto di interessi" come ricetta magica per battere l’evasione (neppure negli Usa, contrariamente a quanto si ripete in continuazione). Direi anzi che in Italia abbiamo comunque un numero significativo di casi di detrazione dei costi: basta esaminare la nostra dichiarazione dei redditi. Purtroppo, il problema dell’evasione è un problema complesso e, come diceva un noto scrittore americano, per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice, chiara, evidente… e sbagliata.
 
È insomma certamente giusto – su questo aspetto convengo pienamente con lei – che bisogna puntare sull’idea di premiare gli onesti, invece che limitarsi a punire i disonesti. Ma occorre forse agire su meccanismi di altra natura. Quali? Agire, ad esempio, sulle potenzialità incentivanti della <+corsivo_bandiera>tax compliance<+tondo_bandiera> (l’adempimento spontaneo agli obblighi fiscali) legate a motivazioni fondamentali dell’animo umano: motivazioni di natura intrinseca – il rispetto di sé, l’autostima e la cura della propria reputazione – che si ritrovano però al centro della stessa dimensione economica dei comportamenti, al punto che Adam Smith, il padre dell’economia moderna, ne fece oggetto di una riflessione approfondita. Su queste motivazioni dovremmo tutti con intuito e intelligenza sempre più far leva.
Attilio Befera, Direttore dell’Agenzia delle Entrate
Mi fa piacere che lei, caro direttore Befera, convenga sulla necessità di educare alla civiltà del bene comune e sull’opportunità di «premiare gli onesti» (l’accordo sul primo punto era del tutto scontato, sul secondo no). Mi fa piacere a patto che non resti teoria. Cioè, purché il premio al cittadino-contribuente onesto non consista soltanto – come direbbe un personaggio di Carlo Verdone – in una "botta di autostima". Lei evoca il calo delle entrate che verrebbe generato dalla detassazione dei consumi. Altri ricordano che là dove la lista delle spese che il cittadino-contribuente può detrarre si fa troppo lunga, la lista delle prestazioni dello Stato sociale tende ad accorciarsi. Non sono un tecnico, ma vedo che in Italia il welfare si sta già accorciando, mentre la lista delle detrazioni – comprese quelle che lei cita – viene addirittura messa in discussione... Immagino, poi, caro direttore, che ridurre un gettito certo o quasi (l’Iva) per farne lievitare uno più incerto (derivante dai redditi emergenti degli evasori) non sia facile. Eppure mi pare che sia giusto prendere atto come la per nulla isolata esperienza del lettore di Chiari confermi che l’Iva non è affatto «neutrale», è invece in molti casi una paradossale arma di pressione in mano a chi comunque non la paga e in qualche caso – le cronache lo testimoniano tristemente – in qualche caso, persino quando la incassa, neanche la versa allo Stato. Grazie al gran lavoro svolto dall’Agenzia delle Entrate, è maggiore la probabilità che simili comportamenti vengano sanzionati con efficacia. Nonostante questo, però, il costo della crisi – da noi più che altrove – continuano a pagarlo, in speciale e gravoso modo, soprattutto gli onesti. Lei e i suoi esperti collaboratori aiutate a trovare il modo per "premiarli", consigliate al meglio i signori del governo e del Parlamento. Tutti noi, che tecnici non siamo ma neanche sprovveduti, vi faremo un monumento.
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