domenica 24 gennaio 2010
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Caro direttore,ho letto con disappunto la pagina di Agorà del 19 gennaio col titolo: «Una giornata contro l’Impero». Il mio dissenso è in reazione alla tendenza all’auto-flagellazione che troppo spesso caratterizza noi italiani e spinge alcuni ad andare a cercare tutto ciò che negli ultimi conflitti possa smentire il detto «italiani brava gente». Così è stato per la nostra presenza con il corpo di spedizione in Russia e sui vari fronti europei: Grecia. Albania, Iugoslavia fino a far apparire le foibe come una giusta reazione dei titini. Ora si vuole sbalordire l’ignaro lettore con «mezzo milione di africani sterminati dal colonialismo». Abbiamo già letto e condannato le vicende della lotta contro i resistenti in Libia, dell’uso dei gas nella guerra d’Etiopia, delle stragi perpetrate dopo l’attentato a Graziani, ma voler istituire una «giornata del ricordo» mi pare esorbitante. Il dissenso va fatto contro ogni guerra, la condanna va rivolta contro il colonialismo che è stato un fatto comune dei Paesi europei, colonialismo che ha causato molti morti, ma che ha portato nelle colonie italiane anche strade, linee ferroviarie e scuole, ha impiantato vigneti e oliveti la dove c’era il deserto. Nel male e nel bene è stata una triste vicenda di cui tutti i popoli europei devono riconoscere gli errori, ma, in particolare per noi italiani, non deve tradursi in autoaccuse incentivate dal probabile numero delle vittime. Abbiamo recentemente restituito l’obelisco di Axum, ci siamo impegnati a costruire l’autostrada litoranea da Tripoli a Bengasi, abbiamo rinunciato alla rifusione di terre e case in Istria e Dalmazia. Non sono già segni sufficienti di pacificazione, senza dover istituire una giornata per ricordare l’olocausto coloniale?

G. Zapparoli, Mantova

Caro Direttore,nell’articolo di Antonio Airò dal titolo «Una giornata contro l’Impero» su Avvenire del 19 gennaio, prendendo spunto da una lettera di un lettore, si propugna una giornata della memoria non soltanto in ricordo della Shoah, ma estendendola ai crimini di guerra perpetrati dalle truppe italiane in Africa e, nell’ultima guerra, in Iugoslavia. Una giornata che, pur con questa estensione, lascerebbe fuori però, a mio sommesso parere, i crimini di guerra commessi nel 1860 dalle truppe piemontesi che, novelli barbari, calarono dal Nord alla conquista di un regno che fino ad allora era stato in pace con tutti. Lo stesso Angelo Del Boca ne ha parlato, se non vado errato, in un apposito capitolo del suo aureo saggio «Italiani brava gente». Di tali crimini, facenti parte di una storia dimenticata, basterebbe citare due soli esempi come l’eccidio delle popolazioni di Pontelandolfo e Casalduni nel Beneventano, ad opera delle truppe piemontesi in una grigia alba del 14 agosto 1860, e la strage di Bronte in Sicilia, da parte delle camicie rosse di Nino Bixio. Davanti a questi episodi qualcuno ha parlato, non a torto, di nazismo ante-litteram. Concordo pertanto, con lo studioso Mario Beccari, secondo il quale la storia andrebbe riscritta «con trasparenza e onestà intellettuale», come già rilevava il compianto professor Tommaso Pedio che nel 1967, nella lezione introduttiva al corso di Storia Moderna all’università di Bari, ebbe a dire: «Per una più ampia e libera interpretazione degli aspetti e dei problemi della storia siamo contro i miti e contro ogni posizione preconcetta... Dobbiamo liberamente ricostruire il nostro passato anche se ciò significa porsi contro corrente con il risultato di non essere congeniali né agli storici di "destra", né a quelli di "sinistra", pronti sempre, gli uni e gli altri, a condannare quanti, non disposti a rinunziare alla propria indipendenza e alla libertà di giudizio, non si uniformano ai canoni e ai principi tradizionali, né a quelli decisi delle segreterie dei partiti. Siamo per l’antistoria condannata dalla più retrograda cultura accademica».

Pasquale Falcone, Cava de’ Tirreni (Sa)

Pubblico insieme queste vostre due lettere, cari lettori, perché, pur con approcci e sensibilità diverse, vertono su un’unica questione, che l’articolo di Antonio Airò ha portato all’attenzione: se cioè sia il caso – e soprattutto se sia utile ed efficace – istituire giornate di ricordo dei grandi crimini contro l’umanità del passato anche recente, così da evitarne la «damnatio memoriae», affinché li si conosca e non abbiano a ripetersi. Ebbene, c’è un dibattito, e c’è, per la verità, una consapevolezza bella e nuova, che traspare anche dalle vostre interessanti lettere, degli errori e degli orrori di un passato che non è remoto (o anche dei semplici, ma insistenti, interrogativi che quel passato comincia a suscitare). Siamo inclini alla smemoratezza: evitarla – a beneficio delle vecchie e nuove generazioni – con l’istituzione di «giornate della memoria» è un’ipotesi su cui riflettere, anche se forse un moltiplicarsi di tali ricorrenze potrebbe rivelarsi alla fine controproducente, stemperandone l’impatto e la forza comunicativa. L’importante, comunque, è che se ne discuta seriamente, evitando sia le forzature ideologiche sia le banalizzazioni. E poi, parlarne è già un antidoto alla dimenticanza...
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