giovedì 27 agosto 2009
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Caro Direttore,da tanto tempo leggo Avvenire... a volte solo superficialmente per mancanza di tempo e mi dispiace perché non sfrutto, come tanti, la ricchezza di contenuti. Avevo apprezzato già in passato le attenzioni al carcere. In quest’ultimo periodo ho letto con interesse quanto avete scritto sul carcere, sui volontari, sui problemi della giustizia e della sicurezza. Bravi, continuate soprattutto riguardo alla sicurezza: dite che non si difende così e che la sicurezza è di tutti e per tutti. Anche e ancora più di coloro che insicuri e braccati, hanno cercato un po’ di sicurezza e di possibilità di vivere. Ormai sono vecchia, ho quasi 75 anni. Ho fatto 35 anni di scuola coi giovani e una cinquantina nelle parrocchie. Da 20 sono volontaria in carcere. È stato davvero un grande dono di Dio: una esperienza grande che mi ha segnato la vita. È necessaria l’informazione così da far crescere una mentalità più giusta per leggi che siano «giuste» e non lesive dei diritti delle persone, per raccontare cos’è davvero il carcere; per tenere d’occhio una giustizia che qualche volta è ben poco giusta. Le aggiungo un po’ di materiale per documentare come anche nel carcere di Cuneo, alla periferia del «pianeta carcere», si cerchi di lavorare e collaborare. Possiate continuare ad essere una voce libera per un mondo più bello e buono.

suor Caterina Galfrè Cuneo

Nell’esprimerle ammirazione per la sua vita spesa generosamente e gioiosamente per il prossimo, utilizzo questo spazio per ricopiare alcune frasi da uno dei testi che ha voluto inviarmi, l’ultima "Relazione annuale" sull’attività svolta in carcere, presentata alla fine dell’anno scorso. Apre così: «Ho svolto il mio servizio ai fratelli, in carcere, con semplicità, rispetto e amore, come faccio da quasi 19 anni, con profonde motivazioni umane e cristiane. Sono andata in carcere, in quest’anno quasi 140 volte: circa 3 volte alla settimana, salvo brevi periodi di assenza per salute o ritiro spirituale. Scrivo molto: anche 30-50 lettere la settimana». Più avanti: «Il servizio di noi volontari è un servizio difficile e impegnativo, che richiede tanto tempo, tante ore fuori dal carcere. È, verso i detenuti, sostegno morale, rispetto, attenzione alla persona. Cerco di essere sorella, mamma – come dicono loro – accanto a fratelli sfortunati e disperati, con piccoli gesti di solidarietà e di amore. È pure attenzione e rispetto a tutte le persone che lavorano in carcere e che incontro: agenti, operatori e altre persone».Ancora: «Le persone che incontro avrebbero tanti bisogni, anche economici, ma sono povera. Do francobolli, cancelleria varia, libretti, giornali e qualche piccolissimo aiuto economico a detenuti o ex detenuti. E per molti stranieri e persone povere, in ogni senso, vorrei fare tanto di più. Contatto avvocati per disperati e poveracci, a volte inutilmente, in altri casi trovando avvocati che aiutano, anche poco o nulla retribuiti. Contatto, se possibile e richiesto dai detenuti, i loro parenti, per riannodare rapporti o per confortare le famiglie».Non servono grandi mezzi per agire: «La carcerazione è dramma e sofferenza grande per i parenti, soprattutto per le mamme. Soffro per il dramma di tanti stranieri che con la carcerazione perdono i contatti con le loro famiglie o ne hanno rare notizie. Contatto strutture ed enti, parrocchie, servizi sociali, Sert, Caritas e altri operatori. Continuo quando possibile il sostegno dopo i trasferimenti. Perdo tanti contatti, ma restano alcuni buoni scambi anche dopo la scarcerazione. Sperimento la difficoltà di non arrivare a tutti e sperimento nel mio cuore il peso di tanti drammi e sofferenze, ma anche vedo impegno e volontà di bene. E vivo la Speranza. Ho l’aiuto del sostegno umano e dell’amicizia. Ho anche le preghiere al Signore Dio di persone buone e qualche piccola offerta. Non ho benefattori con aiuti economici consistenti o sponsor, ma la carità delle mie consorelle e di persone buone».«Un’attenzione non rivolta solo ai carcerati: «Constato tanta umanità, competenza, rispetto verso le persone, impegno per umanizzare il carcere in tanti operatori e agenti di Polizia penitenziaria. Ci sono persone ottime che mettono il bene della persona al primo posto e a tutti esprimo stima e gratitudine. È la struttura carcere che è carente di troppe cose».Grazie, davvero, di cuore. Stia sicura che continueremo a tenere gli occhi aperti sulla realtà carceraria.
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