Sud, l’ingiustizia finalmente da sanare
mercoledì 8 febbraio 2017

Poco manca, con i (difficili) tempi che corrono, che parlare del Mezzogiorno d’Italia venga preso come una provocazione bella e buona. Più che a un tema da rimettere in corso sembra di essere di fronte a una condanna già passata in giudicato, sulla quale non conviene sprecare altre risorse. E di nessun tipo, poiché le cifre, il clima sociale, la progressiva decomposizione di un’emergenza troppe volte sopravvissuta a se stessa portano a considerare come inattuale ogni ulteriore tentativo di riportare il Sud al centro di un concreto interesse generale. C’è anche poco da illudersi, in partenza, che l’accoglienza possa cambiare se è la Chiesa a scendere in campo, dal momento che il muro della diffidenza è alto di per sé, e si erige in maniera implacabile contro chi tenti una qualche uscita fuori dal coro di un’economia resa sempre più severa dai suoi stessi fallimenti.

Appare anzi realistico mettere in conto perfino una certa dose di insofferenza, di fronte a un’iniziativa che viene a richiamare che il problema del Sud non è solo questione di cifre e di bilanci, e che semmai si è di fronte a una colossale ingiustizia della quale l’intero Paese – anche per salvare se stesso – non può continuare a disinteressarsi.

La Chiesa italiana che rimette in prima linea il Mezzogiorno, sotto la spinta del magistero di papa Francesco, è una notizia di giornata, ma con una lunga storia alle spalle. A Napoli oggi e domani si riuniranno, su iniziativa della diocesi, le Chiese delle sei regioni meridionali (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Non si tratterà, neppure tecnicamente, di un convegno, ma una volta tanto di un punto di arrivo, al centro un tema ben definito – 'Chiesa e lavoro: quale futuro per i giovani del Sud?' – per illustrare e porre in relazione iniziative e progetti già in corso nelle varie diocesi e tutte orientate allo sviluppo e all’occupazione, pilastri tuttora malfermi della realtà meridionale.

Fare il punto di fatti già in corso è un passo avanti rispetto alla prospettiva di elaborare nuove analisi sul corpo già ampiamente sezionato di una parte considerevole del Paese. Non che lo studio dei segni di cambiamento e dei dati vadano messi da parte, ma è certo che la realtà segnala al di sopra di tutto l’urgenza di interventi mirati e non evanescenti. Suonano a distesa da tempo le sirene di un allarme il cui primo rischio è l’assuefazione a uno stato perenne di pronto soccorso sociale: la disoccupazione alle stelle – in Calabria e Sicilia per i giovani si raggiungono punte del 40% –, la rete di servizi smagliata da ogni parte – la sanità in prima linea –, la malavita che spadroneggia e ingrassa, nello scenario di un territorio di suggestiva bellezza, ma devastato dallo sfruttamento e sfregiato dall’incuria e dagli interessi di pochi.

Non è possibile accostarsi a tutto ciò senza pensare alla necessità di far presto e, allo stesso tempo, omettere di considerare la costante condivisione che la Chiesa ha saputo innestare nella storia tormentata del Mezzogiorno. Napoli, con i segni ancora rintracciabili dell’antica capitale, rappresenta l’emblema di tutto: il vecchio e il nuovo, oltre che le mille contraddizioni di un’area che non trova pace e continua a rincorrere speranze spesso inafferrabili. Proprio da Napoli, però, ha preso avvio l’impegno sistematico della Chiesa del Sud, dal caposaldo della 'Lettera collettiva dell’episcopato meridionale' pubblicata nel 1948, lo stesso anno della Costituzione.

Quel documento rappresentò un fatto costitutivo dal momento che aprì il campo a una lunga serie di interventi, dottrinali e sociali, della Chiesa sul Mezzogiorno, diventato col tempo problema non solo territoriale. Fu tale consapevolezza a spingere la Chiesa italiana nel 1989 a porre a capo del suo documento («Sviluppo nella solidarietà: Chiesa italiana e Mezzogiorno») l’affermazione che «il Paese non crescerà se non insieme». Era stata forte in quegli anni la spinta del magistero di Giovanni Paolo II, più volte pellegrino nel Mezzogiorno, grazie al quale la «questione meridionale» assunse una precisa rilevanza ecclesiologica. Vent’anni dopo, nel febbraio del 2009, Napoli attualizzò con un incontro delle Chiese meridionali i temi essenziali emersi da quel testo. È la Chiesa di Napoli, con il suo pastore, il cardinale Sepe, a riprendere ora il filo di discorsi mai interrotti, ma certo da aggiornare di fronte alle nuove e più aspre sfide di tempi che cambiano.

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