mercoledì 27 giugno 2012
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Siamo alle ultime fasi del famigerato rush finale, a scuola. Molti sono sotto esame. Accade in tutto il mondo, Cina compresa. Solo che lì gli studenti non si sono preparati solamente con la testa china sui libri e semmai perdendo qualche ora di sonno, hanno fatto e fanno pesantemente conto sulla biochimica. Lo abbiamo appreso dalle foto che girano in rete e dagli articoli lanciati dapprima da China Daily e poi raccolti dai media internazionali. Nelle classi della "Xiaogan No.1 Middle School", della provincia di Hubei, sopra gli scontati banchi pieni di libri sono stati tirati lunghi fili di metallo da parete a parete. Servono per appendere le flebo di amminoacidi da infondere endovena durante le ore di lezione, mentre i ragazzi studiano. Nessuna smentita dalla direzione della scuola Anzi, la conferma e con essa lo scopo dell’operazione: gli alunni davvero ricevono quelle endovenose per rafforzare il corpo e ottenere maggior energia. I medici hanno messo in guardia sull’inutilità clinica di tali somministrazioni, sulla loro potenziale pericolosità. Eppure, nonostante questo allarme, pare siano proprio i genitori a richiedere la procedura a gran furore, perché i figli possano eccellere. Ma la Cina è lontana, si dirà. Così come i suoi valori di riferimento. Eppure, il fatto pone una questione interessante ai genitori di ogni latitudine: quanto siamo disposti a spingere per il successo scolastico dei nostri figli? E, soprattutto, quanta importanza vi attribuiamo nella nostra personale scala di valori? Giustamente condanniamo la pratica di quella scuola asiatica e non arriviamo certo a dopare i giovani per un esame o per le ultime fatiche dell’anno scolastico, ma questa notizia è una buona occasione per chiederci se anche da noi in Occidente, e a casa nostra, non corriamo talvolta il rischio di confondere l’educazione con l’esclusivo ottenimento di buoni risultati scolastici. Quante sere, quando a cena chiediamo «Come è andata la giornata?», non intendiamo piuttosto «Ti hanno restituito la verifica?», o «Sei stato interrogato?' o «Che voto hai preso?». Come se le sedici ore di veglia di un ragazzo fossero interamente determinate e definite dall’esito di una prova, dalla dimostrazione di un successo inteso solo come risultato di una performance da ottimizzare per spiccare sugli altri.Il successo di un giovane comprende certo, ma anche supera – e di gran lunga – il puro successo scolastico misurabile in decimi di punto; include il suo saperci fare con gli altri, coetanei e adulti che siano, l’emergere di interessi e curiosità diverse, il sapersi scegliere degli amici buoni così come riconoscere i nemici da cui stare alla larga, il potersi pensare grande, il costruirsi delle ambizioni. Proprio in questo periodo in cui tanti sono alla prova maturità li aiuterà una certa nostra levità, frutto non di disinteresse o negazione, piuttosto della certezza di quanto sia più ampio il loro orizzonte. Soprattutto se il percorso si appesantisce della paura di non farcela, sosteniamoli nell’impegno affinché non si scoraggino. Qualunque sarà il risultato, ne può arrivare comunque un guadagno, che sia la finale conquista del diploma o la sanzione di un risultato negativo. Perché anche quest’ultimo, dentro una affettuosa prospettiva educativa, può portare con sé degli esiti inaspettati, come la possibilità di giudicare gli errori e finalmente correggerli. E non vorremmo considerarlo un successo?
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