Stefano, ucciso dallo sballo di un altro, dà volto alla Giornata anti-dipendenze
venerdì 26 giugno 2020

Caro direttore, scrivo a lei perché mi scrive Alessandra la mamma di Stefano ucciso sulla strada da un giovane ubriaco. Mi chiede di far pubblicare queste sue riflessioni nella Giornata Mondiale contro le dipendenze il 26 giugno. «Ci sono figli che ti danno soddisfazioni e lavorano e quelli che si sbronzano, si drogano, aggrediscono. Ci sono figli affettuosi e solari e figli che non sanno che farsene del tuo amore. L’elenco sarebbe lungo, lunghissimo. Un figlio tuttavia è ciò che di più grande e importante al mondo che Dio ti possa dare e qualunque “cosa” te lo porti via, è “terribile”, è ciò che di peggio ti possa capitare nella vita. Quando a portarti via un figlio è una ma-lattia, anche un tragico incidente sul lavoro, sulla strada, accettare la disgrazia è difficilissimo, quasi impossibile. Ma accettare che un figlio ti sia portato via da un suo coetaneo ubriaco alla guida di un’auto è impossibile. Perché non pensare che sballare con l’alcol, drogarsi, è mettere a rischio la propria vita e quella e altrui? ( ) Mio figlio Stefano era un ragazzo valido, una di quelle persone che non ti dicono mai la cosa sbagliata, non perdono mai la pazienza, sono amati da tutti. Mi guardava con quegli occhi buoni e azzurri, con quel fondo di malinconia quasi fosse un presagio di ciò che gli sarebbe successo (…) Sapere poi che chi ha creato questo danno, questo strazio costante che ci accompagna e ci accompagnerà per sempre, pare non abbia nemmeno il senso di colpa di fronte a una vita spezzata, manchi di una parola di pentimento, di un atteggiamento di contrizione, fa male, aggrava il dolore di una madre, un padre e un fratello. Lei, don Chino, che cura queste persone sballate faccia sentire il grido di noi vittime di tanto strazio».

Leggere questa lettera, caro direttore, mi ha fatto ripensare a “Gioventù bevuta”, un reportage di Riccardo Bocca che “l’Espresso” ha pubblicato qualche anno fa, dove si racconta di «una generazione che si ubriaca per trovare un’identità e sentirsi libera». Una gioventù fragile, in realtà. Ma quale libertà e identità può dare una sbronza? Una sbronza può dare tanta sofferenza a sé e agli altri. Proviamo a riflettere. Sempre di più sono i teenager che si danno all’alcool per il solo gusto di ubriacarsi. E l’Italia vanta un record europeo: si inizia a bere a 11 anni, contro la media europea di 13. I medici usano altri termini, per fotografare le baby sbronze. Parlano di binge drinking, l’abitudine a consumare eccessive quantità di alcol (per convenzione sei o più bicchieri) in un’unica occasione. «Ma la questione non cambia: i ragazzi italiani, a prescindere dalla latitudine e dalle classi sociali, hanno conferito al bere un potente ruolo sociale», dice lo psichiatra Michele Sforza, direttore del servizio Alcologia in una clinica lombarda. E niente a che vedere con la trasgressione: al contrario, gli under 18 si ubriacano per conformismo. Sbronzi ritornano poi a casa, magari alla guida di un’auto, rischiando la propria e altrui vita. E allora io ripeto che i genitori devono prendersi in mano la loro responsabilità educativa primaria, quella che spetta alla famiglia, non allo Stato e alla scuola. Un figlio che entra a casa alle 8 della mattina perché i locali chiudono alle 7, lo fa perché non ci sono regole in casa. La moda dello sballo è stata inventata per far soldi. Basterebbe dare un’occhiata a quel che accade in certe discoteche e pub... Voglio dire: forse abbiamo lasciato soli questi ragazzi ad affrontare un mondo di adulti che ha come unico scopo il fare soldi. E nel quale dilaga la mentalità sociale di un permissivismo bieco: tutto si può fare! Ciò che scrive questa mamma dovrebbe essere motivo di riflessione per tutti gli adulti che pilatescamente riservano ai giovani sbronzi, battutine stupide e giustificazione vili. Diciamo no a qualsiasi sostanza alcolica o stupefacente che altera l’equilibrio fisico e psichico in questa Giornata mondiale contro una violenza tollerata e legittimata!

don Chino Pezzoli Promozione Umana onlus


Che cosa aggiungere, caro don Chino? Posso solo condividere l’ascolto e l’abbraccio a mamma Alessandra, alla sua famiglia e a tutti coloro che vivono lo strazio della morte tragica di una persona cara per cause umanamente difficili e persino impossibili da accettare. E posso rilanciare l’appello contro ogni dipendenza e contro ogni abuso di sostanze capaci di indurre lo “sballo” e le sue imprevedibili e troppe volte dolorose conseguenze. Ognuno di noi si prenda la propria parte di responsabilità, in famiglia e nella vita pubblica, e tutti insieme facciamola sentire e pesare – questa responsabilità – a coloro che hanno il potere e il dovere di fare le leggi e di applicarle. Prevenire è meglio che reprimere, e le regole che ci diamo, o non ci diamo, e che facciamo, o non facciamo, rispettare contribuiscono a creare quella “mentalità sociale” che può permettere e persino incentivare il danno o, invece, ridurlo ai minimi termini. Grazie, don Chino, per averci aiutato in questa Giornata contro le dipendenze a mettere davanti a chi sostiene che lo sballo è una “scelta personale” il volto di Stefano. Un ragazzo ucciso dallo stordimento irresponsabile che qualcun altro si era procurato. Molto si può arrivare a capire e, con l’aiuto di Dio, tutto si può perdonare, ma una deliberata follia che spezza la vita dell’altro non si riesce davvero a umanamente accettare. Soprattutto perché sappiamo che non è stato fatto tutto ciò che è necessario e giusto per evitare che accadesse.



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