venerdì 22 aprile 2011
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La decisione assunta, questa volta congiun­tamente, da Italia, Gran Bretagna e Francia di inviare alcuni addestratori militari in Libia per preparare le truppe degli insorti è rivelatrice di come ormai i temi stimati per la conclusione della campagna bellica si stiano decisamente allungando. Perché il lavoro dei nostri istruttori possa cominciare a produrre qualche apprezzabile risultato, occorreranno infatti settimane, se non addirittura mesi. È un’implicita ammissione che la fretta anglo-francese di un mese fa, giustificata dal precipitare della situazione sul campo, nascondeva una debolezza di analisi e di coerenza. I ribelli erano a malpartito anche a causa della loro impreparazione militare, oltre che per la penuria di armamenti pesanti. I raid aerei avviati con il pretesto della no-fly zone poteva rendere meno significativo il divario in termini di armamenti, ma era ininfluente sul carente livello operativo degli insorti. Sarebbe stato ovvio aspettarsi subito l’avvio di un piano di assistenza, ma troppo si confidava sul fatto che una 'spalmata di bombe' avrebbe fatto crollare il regime. E, oltretutto, anche in politica estera si procede passo per passo, facendo quello che si può quando si può.L’intervento Nato andrà quindi per le lunghe; ma con l’arrivo dei 'consiglieri' militari la coalizione lancia implicitamente a Gheddafi un ulteriore avvertimento, quello per cui l’intervento esterno potrebbe non limitarsi alla sola campagna aerea. Tutti gli interessati si affretteranno a smentire una simile ipotesi; ma i primi scarponi occidentali che calcano la sabbia del deserto libico segnalano un’escalation già avvenuta, e ne ventilano un’altra, ovvero quella di un possibile invio di un corpo di spedizione terrestre. Certo, il solo parlarne infrange un tabù e però i segnali ci sono tutti. L’ipotesi che truppe europee scortino convogli umanitari, allo studio in queste ore, potrebbe facilmente portare alla necessità che esse aprano e proteggano corridoi umanitari. E nel fare, ciò quasi sicuramente, si ritroverebbero oggetto di azioni ostili da parte delle truppe del Colonnello e sarebbero quindi costrette a difendersi, neutralizzando le forze degli aggressori. La stessa campagna aerea si sta dimostrando non decisiva proprio perché monca del necessario supporto da terra di operatori in grado di acquisire con certezza i bersagli e comunicarli tempestivamente ai bombardieri, guidandone i raid. A fronte di questa possibile, probabile salto di qualità e di un allungamento sostanzioso dei tempi necessari ad aver ragione della resistenza del Colonnello, sta la nostra scarsa capacità di portare un aiuto concreto alla città di Misurata. Se le cose vanno avanti così, Misurata potrebbe diventare la Srebrenica del 2011.Evidentemente un simile esito costituirebbe uno scacco politico per la coalizione, oltre che una tragedia per tutti quelli che nella città assediata si trovano confinati. Non dobbiamo infatti dimenticare che ciò che ha consentito l’approvazione della Risoluzione 1973 da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stata proprio la necessità di proteggere la popolazione civile dalla furia di Gheddafi.E non ci stiamo affatto riuscendo. Anche questa impasse, in realtà, militerebbe a favore di un intervento militare che non si limiti alla componente aerea e navale. Per quanto tutti ancora sperino che l’invio di truppe di terra non diventi inevitabile, col rischio di innescare un’ulteriore e triste escalation di questa guerra, è difficile capire come altrimenti si potrebbe fare per liberare Misurata dalla morsa in cui viene lentamente soffocata. Certo è che i suoi cittadini non sono nelle condizioni di aspettare che le forze ribelli in Cirenaica si trasformino in un vero esercito.
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