giovedì 9 febbraio 2012
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La vittoria del candidato cattolico Rick Santorum nelle primarie di Colorado, Minnesota e Missouri invia alcuni messaggi molto forti a quelli che fino a pochi giorni fa erano considerati i due sfidanti certi nella corsa alla Casa Bianca: il milionario Mitt Romney e il presidente Barack Obama. Al primo dice che la "battaglia per i valori", tanto cara a quel fronte neoconservatore che da Ronald Reagan in poi è stato determinante per consentire la vittoria di un candidato repubblicano alle presidenziali, è ancora quella su cui il Grand Old Party deve puntare per sconfiggere il liberal Obama. Chi pensava che la nascita e la crescita del movimento del Tea Party avesse in certa misura reso questo fronte meno rilevante, proprio per le modalità molto accese, spesso teatrali, con i quali i suoi esponenti sostenevano le proprie posizioni, deve forse cominciare a ricredersi.L’America non è stanca di quello scontro tra impostazioni etiche che soprattutto intellettuali e media avevano dato troppo precocemente per morto. Romney sapeva benissimo che il suo punto debole sono proprio le credenziali sui temi etici, ritenute troppo ambigue, a partire dalla sua posizione circa la legislazione in materia di aborto. Ha cercato di aggirare l’ostacolo, puntando su una vittoria lampo schiacciante, che convincesse gli elettori più conservatori del fatto che, volenti o nolenti, lui era il candidato, il solo possibile per i repubblicani. Ha giocato in questa scommessa tutte le carte migliori a sua disposizione, a partire dall’appoggio dell’establishment del partito fino a quello di tv e giornali. Ma ha sottovalutato la profonda rabbia dell’elettorato conservatore organizzato, che accomuna nel risentimento contro Washington tanto il presidente democratico quanto i vertici del proprio schieramento.È una rabbia poi non così diversa da quella che Obama seppe intercettare quatto anni fa, ponendosi come paladino dell’uomo della strada nella sua sfida contro Hillary Clinton, dipinta quale esponente troppo interna dei circoli di potere della capitale. Intendiamoci: i risultati di martedì non spostano nulla in termini numerici, per una serie di ragioni complesse che riguardano i regolamenti elettorali repubblicani. Ma di sicuro dicono che il predestinato Romney non ha la vittoria in tasca e che l’outsider Santorum può ancora farcela. Chi conosce un po’ lo spirito americano sa bene quanto un simile spiraglio di possibilità rischi di essere pagato a caro prezzo dal front runner Romney. Quantomeno questo fatto non consentirà agli strateghi di Romney di focalizzare subito la loro campagna in chiave anti Obama, ma di dover combattere su due fronti: quello liberal del presidente e quello conservatore di Santorum. Apparentemente questo si traduce in un vantaggio netto per Obama, che nel campo democratico è da mesi il solo campione. Ma anche per lui, a ben guardare, le cose potrebbero complicarsi. Non potrà infatti limitarsi a inquadrare nel suo mirino elettorale un profilo sul quale far convergere tutto il fuoco della sua campagna, proprio perché Romney e Santorum sono troppo diversi e gli argomenti adottati contro uno potrebbero non essere adeguati contro l’altro.Non solo. Nel modulare la sua azione propagandistica dovrà fare attenzione a non prestare il fianco ad attacchi che potrebbero provenire da terreni molto diversi: quello della ripresa economica e della lotta alla disoccupazione caro a Romney e quello dei valori caro a Santorum. Con in più un paradosso, che i commentatori più brillanti di cose americane hanno già segnalato (si veda Alberto Simoni sulla Stampa): cioè che proprio un consolidarsi della congiuntura economica favorevole potrebbe ridare spazio allo spostamento del dibattito sul campo etico, proprio quello sul quale Obama continua a dividere maggiormente l’opinione pubblica americana.
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