giovedì 6 novembre 2008
COMMENTA E CONDIVIDI
L'America è un luogo in cui tutto è possibile. Nell'incipit del discorso della vittoria pronunciato l'altra notte da Barack Obama, 44° presidente degli Stati Uniti, primo afro-americano alla carica più alta, c'è davvero la chiave di queste elezioni, che sembra già un luogo comune definire "storiche". È possibile che un nero vinca di slancio le ultime resistenze di un Paese lento a liberarsi del pregiudizio razziale di fondo, non quello della discriminazione esplicita ormai superata, ma quello fatto di povertà, mancanza di opportunità e tassi record di incarcerazioni. È possibile che arrivi alla Casa Bianca un candidato il quale, com'è stato scritto, appena due anni fa era un puntino quasi invisibile sugli schermi radar della politica Usa. E che in pochi mesi ha convinto tre milioni di concittadini a versare per lui fondi da primato, ne ha mobilitati decine di migliaia come volontari e conquistati oltre 60 milioni come propri elettori. È possibile che un outsider delle nomenclature di partito susciti un entusiasmo planetario tale da rendere in Giappone, per fare solo un esempio, il voto americano un evento più interessante delle consultazioni nazionali. Ma anche in una terra "giovane", che ancora crede al "sogno" e si considera un po' messianicamente il faro sulla collina, bisogna spiegare con più pragmatismo il netto successo di Obama su John McCain, sconfitto meritevole dell'onore delle armi. Non basta la trascinante oratoria, di cui si è avuta mirabile conferma nell'abbraccio con la folla festante della sua città. Non basta la novità di una figura non compromessa con le precedenti Amministrazioni. Né, forse, basta la voglia di rompere con l'era Bush " segnata dall'impopolare guerra a Saddam e dalla crisi drammatica di questi mesi ", le cui orme il candidato repubblicano era parso in definitiva condannato a ricalcare, malgrado le tardive prese di distanza. Due elementi " oggi, a caldo " sembrano spiccare: la percezione che l'economia richieda una guida salda e innovativa; una massiccia e intelligente campagna elettorale («la migliore della storia» a parere degli stessi avversari). Sul primo punto, giudicato il tema da 62 votanti su 100 (ben al di là di sicurezza e Iraq), ha inciso l'irresolutezza di McCain, capace di dire che i «fondamentali sono solidi» alla vigilia di un crac epocale, contrapposta al dinamismo unito a freddezza di Obama. Gli americani non sono diventati "socialdemocratici", non vogliono un ritorno allo statalismo; chiedono piuttosto di ricostruire un edificio più robusto con i classici e consolidati principi della libera intrapresa. E hanno scelto tra i due contendenti quello giudicato più affidabile. Il grande merito dello staff democratico è stato poi di costruire una macchina propagandistica ad alta efficienza, che per la prima volta ha sfruttato tutte le potenzialità di Internet. Attraverso la Rete si sono raccolti denaro (circa il doppio del rivale) e informazioni sui potenziali sostenitori. Poi " grazie alle ingenti risorse finanziarie " si è dispiegata un'imponente opera di convincimento non più porta a porta, ma "cellulare a cellulare", "e-mail a e-mail". La mobilitazione dei giovani, lo sforzo per far iscrivere nuovi elettori alle liste e l'intuizione di promuovere il voto anticipato hanno fatto il resto. Senza dimenticare che alla base di ciò vi è un "volto": l'idealista self made man, legatissimo alla famiglia, intellettuale e attivista per le minoranze, in grado di riscaldare i cuori con le promesse del cambiamento, con il suo «Yes, We Can». In quel «tutto è possibile», tuttavia, c'è pure una buona dose di retorica. E Obama ha avuto l'intelligenza di riconoscerlo: «La vittoria non è il cambiamento che cerchiamo, ma solo l'opportunità di compierlo». Ecco allora le sfide: due guerre aperte, l'ambiente in pericolo, la peggior crisi finanziaria. Adesso serviranno i fatti. La straordinaria luna di miele inaugurata dai caroselli di auto a Washington (rarità nella storia Usa) lascerà il posto alla dura realtà dei fatti. Da gennaio il presidente avrà un Congresso a forte maggioranza democratica, che potrebbe spingere verso un certo radicalismo sociale ed etico, e un'opposizione leale però probabilmente spostata più a destra. Sarà chiamato quindi a manovrare con decisione, tempestività, ma anche moderazione. L'esperienza che manca a Obama potrebbe venirgli da un'oculata scelta dei collaboratori. Spetterà a lui concretizzare quella speranza che ha suscitato e l'ha portato a guidare l'America.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: