venerdì 6 novembre 2015
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Il volo delle linee aeree malesi abbattuto sull’Ucraina orientale il 17 luglio 2014 (298 morti) e il volo delle linee aeree russe abbattuto sul Sinai egiziano il 31 ottobre 2015 (224 morti). Qualcuno ha provato a chiedersi perché, un anno e mezzo dopo la prima tragedia, l’intelligence Usa (che pure accusa la Russia) non abbia ancora prodotto una sola prova documentale mentre a soli cinque giorni dalla seconda tragedia può annunciare di aver registrato, tramite i propri satelliti, una «vampata di calore», cioè l’esplosione di una bomba, sul velivolo russo? Qualcuno davvero crede che i satelliti americani fossero molto concentrati sul Sinai in questi giorni e assai distratti sull’Ucraina della guerra civile un anno e mezzo fa?In realtà tutti quei poveri morti sono subito diventati ostaggi delle propagande incrociate e di una partita politica internazionale che si gioca senza scrupoli né pietà. Russia ed Egitto, negli ultimi anni, hanno rinsaldato un rapporto che si era interrotto nel 1972, quando Sadat aveva bruscamente espulso tutti i "consiglieri" sovietici. Vladimir Putin e al-Sisi, al contrario, stanno sviluppando un’intesa strategica con pochi precedenti: da quando è presidente, al-Sisi è stato tre volte a Mosca in visita ufficiale, e Putin due volte al Cairo. Sono stati firmati contratti importanti, dalla fornitura di armi alla costruzione in Egitto di una centrale atomica di fabbricazione russa. La Russia aveva aderito al progetto egiziano, mai realizzato, di pattugliare le coste della Libia per contenere le infiltrazioni del terrorismo. Più di recente, l’Egitto è stato tra i primi a sostenere la proposta del Cremlino per una coalizione internazionale anti-Is che comprendesse l’autocrate siriano Assad e l’Iran.L’asse Mosca-Cairo disturba molto gli Usa, perché interferisce con quella libertà totale di manovra in Medio Oriente che la Casa Bianca considera una specie di diritto acquisito e incontestabile. E infastidisce Paesi sunniti come Arabia Saudita e Turchia, alleati tradizionali ora più riottosi (i sauditi per il nuovo ruolo degli Usa come primo produttore di petrolio al mondo, i turchi perché chiedono di pesare di più nella regione) anche perché allarmati sia dalla disponibilità del Cremlino a sostenere l’asse sciita (che dall’Iran, via Iraq e Siria, arriva fino in Libano) sia dal dinamismo dell’Egitto di al-Sisi, in cui va compreso il raddoppio del Canale di Suez e la sua concorrenza allo Stretto di Hormuz, arteria vitale per il petrolio del Golfo, ma su cui si affaccia anche l’Iran.Ecco dunque spiegata la rapidità americana nella diagnosi sul disastro del Sinai, subito ribadita dal fedele scudiero inglese Cameron. La bomba è fonte di grave imbarazzo per l’Egitto, che dovrà spiegare come sia stato possibile caricare un ordigno su un velivolo civile, e lo danneggia gravemente in uno dei settori trainanti dell’economia, il turismo, che dà lavoro a quasi il 15% della popolazione egiziana attiva. Dopo il blocco dei voli deciso dalle compagnie aeree per ragioni di sicurezza, ci sono oltre 20mila turisti bloccati sulla spiagge egiziane: quanti di loro penseranno di nuovo all’Egitto come meta per una vacanza? Inoltre, crea difficoltà a Putin, che dovrà spiegare ai russi se l’intervento in Siria vale tante vittime innocenti e il rischio di riportare nel mirino del terrorismo islamico un Paese come la Russia, dove comunque vivono circa 20 milioni di musulmani (14% della popolazione) in molte zone, dalla Crimea al Caucaso, inquieti. E prova a mettere in crisi i rapporti tra Russia ed Egitto, sui quali questi 224 morti in qualche modo peseranno.È una politica senza sbocchi, quella che ha contribuito a ridurre Iraq, Siria e Libia nelle attuali condizioni. Ma è la politica che viene applicata da più o meno un secolo. Da domani, in ogni caso, dovremo seguire con attenzione le mosse di Vladimir Putin. Perché se l’ipotesi dell’attentato sarà confermata, una cosa possiamo dirla fin d’ora con certezza: ci piacciano o no, questa Russia e questo Cremlino non sono nella disposizione politica e nello stato d’animo da subire una strage come quella del Sinai senza replicare. A prima vista, l’unico che di sicuro uscirà rafforzato da quest’ultima orrenda pagina è proprio il siriano Assad. Il che dovrebbe farci riflettere.
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