martedì 8 giugno 2010
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Per l’ennesima volta, il confronto tra Israele e i palestinesi e in generale il mondo arabo e islamico conferma la sua tradizionale schizofrenia. Stavamo appena apprezzando il piccolo risveglio economico della Cisgiordania quando è tornato a infiammarsi il fronte di Gaza. La provocazione della flottiglia pacifista (o pseudo tale) e l’assurda strage israeliana, comunque precedute dal lancio di centinaia di razzi dalla Striscia e da ripetute incursioni aeree israeliane. Poi l’arrivo dell’altra nave, l’irlandese "Rachel Corrie", la sparatoria tra una motovedetta israeliana e un barchino di uomini-rana palestinesi (quattro morti tra i sub), altri razzi, altre bombe. E ora la minaccia degli sciiti iraniani di inviare un convoglio a forzare il blocco alla Striscia-polveriera governata da Hamas. Una mossa destinata, già solo col suo annuncio, a far scoppiare chissà quali scintille (non solo con Israele). A voler essere sinceri, questo non è il bilancio di una pace in crisi ma il diario di una guerra a bassa intensità. E a voler essere concreti, come tale andrebbe trattata la presente situazione.Pesano, è ovvio, le diffidenze e i rancori ereditati dal passato. Oggi, però, il vero ostacolo a un miglioramento della situazione è la mancanza di coraggio politico e il riflesso ormai quasi pavloviano nel negare una realtà sempre più evidente. Per esempio: chi assedia chi, in Medio Oriente? Israele blocca la Striscia di Gaza dal 2007 (e con scarsi risultati: Hamas non è stato cacciato, il caporale Shalit è sempre prigioniero, armi e missili entrano comunque nella Striscia), ma si sente assediato dalla generale ostilità degli altri Paesi della regione. Questi, a loro volta, sono frenati e controllati dalla presenza militare americana, dal peso politico della Casa Bianca, dagli aiuti erogati dagli Usa, oltre che dalla discontinua ma non inutile pressione diplomatica di Onu, Europa e Russia. E poi, chi fa paura a chi? Hamas pratica il terrorismo, Israele lancia operazioni come Piombo Fuso e in generale dirige le sorti economiche dei palestinesi. Hezbollah attacca ma Israele, quando risponde, rade al suolo le infrastrutture dell’intero Libano. L’Iran minaccia di usare la bomba atomica che non ha, Israele tace su quella che ha. E così via.È uno stallo che può preludere solo a ulteriori picchiate. Un cane che eternamente si morde la coda, latrando comprensibili e intanto inutili giustificazioni. Un circolo vizioso che può essere spezzato solo da due elementi: analisi più profonde e oneste, come quella appena proposta nell’nstrumentum Laboris per il Sinodo straordinario sul Medio Oriente, che tengano conto anche delle ragioni economiche e politiche; e da un energico intervento politico esterno.Gli Usa devono premere perché Israele, massima potenza economica e militare della regione, cominci a sentirsi parte integrante del Medio Oriente (come del resto è nelle sue radici storiche e culturali), quindi partecipe dei suoi problemi e delle sue potenzialità, e non solo un fortino della civiltà occidentale adagiato come per sbaglio nel deserto. L’Europa e la Russia (oltre che gli Usa, indispensabili da queste parti) devono pretendere che gli Stati arabi disconoscano e smettano di sostenere chi pratica il terrorismo e ancora predica la distruzione dello Stato ebraico e aprano le loro frontiere al commercio con Israele.Tutto il resto, carri armati di ultima generazione e kamikaze sempre più giovani, servirà solo a prolungare lo stallo politico, a garantire ulteriori sofferenze e a incrementare le fuga di minoranze come quella cristiana che sono sempre state, invece, il sale di quella terra, oltre che un lievito di solidarietà sopra le parti in conflitto. Oltre ad accrescere la solitudine di due popoli, l’israeliano e il palestinese, che a titolo diverso hanno invece tantissimo da dare.
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