Si può e si deve salvare il Rdc
martedì 4 ottobre 2022

Il Reddito di cittadinanza è stato e resta uno dei maggiori punti di contrasto tra le forze politiche, prima e dopo le elezioni. Il dibattito attorno alla misura va depurato dagli eccessi ideologici, ma tocca due questioni centrali nella definizione di un sistema economico capace di creare valore economico socialmente sostenibile: la costruzione di una rete robusta di protezione contro la povertà, in grado di offrire una rete di protezione agli 'scartati' e ai più deboli e la creazione di condizioni che aiutino i cittadini a trovare un lavoro degno.

I dati Inps aggiornati al mese di agosto ci parlano di 2,5 milioni di persone coinvolte nel Rdc, per un importo medio a famiglia di 549 euro e per un costo allo Stato in tre anni di circa 22 miliardi di euro. La misura italiana colma il gap del nostro Paese rispetto a iniziative simili assunte in tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea, ma è caratterizzata da alcuni difetti strutturali più volte sottolineati su queste pagine, a cominciare dalla sotto rappresentazione della povertà dei nuclei familiari e dei residenti nel Nord. L’istituzione della figura dei navigator rappresenta inoltre uno di quei tentativi dirigistici, inefficaci e costosi, con i quali si cala dall’alto una presunta soluzione alla questione dell’orientamento al lavoro piuttosto che impegnarsi a valorizzare e accompagnare 'dal basso' le buone pratiche virtuose profit e non profit che già esistono nella società e nel mercato (si pensi solo, in questo senso, al gran lavoro delle Acli e di Elis).

La distanza tra domanda e offerta di lavoro che crea in Italia centinaia di migliaia di posti vacanti non dipende da un gap informativo, ma piuttosto da un gap di competenze. Flessibilità e qualità dei percorsi formativi sono pertanto essenziali per risolvere il problema.

La critica principale alla misura è quella di non essere riuscita a combinare l’intento di protezione contro la povertà con quello del reinserimento lavoro. Il problema fondamentale è che l’introduzione del Reddito di cittadinanza eleva il salario di riserva (ovvero il salario minimo al quale si è disposti a essere occupati) creando condizioni di scarsità di offerta di lavoro per alcune mansioni, soprattutto quelle legate alla stagionalità come la raccolta agricola e il turismo. Su questo punto la polemica tra critici e sostenitori si sposta sull’adeguatezza di salari e condizioni di lavoro per questo tipo di mestieri.

A difesa del Reddito di cittadinanza si afferma inoltre che una parte importante dei percettori (minorenni, anziani, disabili, circa l’80% degli attuali percettori secondo i dati Inps) non è occupabile o è sempre stato ai margini del mercato del lavoro e dunque la sua abolizione tout court finirebbe per far venir meno quella protezione per gli ultimi che è la misura del valore di una civiltà.

Da quanto emerge dai programmi dei partiti che hanno appena vinto le elezioni la soluzione preferita sembrerebbe essere quella di separare la misura contro la povertà (Reddito di cittadinanza da mantenere per i 'non occupabili') da quella di sostegno all’occupazione (Rdc da abolire per gli 'occupabili'). Posta la difficoltà di distinguere in molti casi tra le due categorie (l’occupabilità non è solo una questione di età ma anche di competenze) una riforma che elimini il problema del disincentivo al lavoro sembra essere la via più ragionevole da seguire.

In primo luogo, andrebbero rafforzati e resi effettivi i Piani di Utilità Collettiva ai quali i percettori del reddito sono chiamati a partecipare offrendo manodopera in iniziative di valore sociale come la manutenzione del decoro e del verde pubblico. Ciò limiterebbe la possibilità di abusi rendendo la percezione del reddito incompatibile con forme di lavoro in nero. In secondo luogo, potrebbero essere previste forme di cumulo tra reddito e lavori stagionali. Infine, una gestione più severa del Rdc in caso di rifiuto delle offerte di lavoro ricevute dai percettori potrebbe eliminare il disincentivo.

Quando ci capita sempre più frequentemente d’imbatterci nel disagio di tanti, al di là del nostro maggiore o minore impegno personale, ci dà consolazione sapere che nel nostro Paese una rete di salvataggio esiste ed è possibile. Perderla segnerebbe un passo indietro della nostra civiltà. Tenere assieme la rete di protezione eliminando i problemi di disincentivo all’occupazione è la sfida da vincere.

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