mercoledì 31 ottobre 2012
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Caro direttore,
in una lettera apparsa venerdì scorso un lettore si compiace all’annuncio che «l’onorevole Berlusconi non si ricandida, lascia il campo», immagino ora la sua delusione dopo che gli ultimi fatti sembrano smentire tale affermazione. Ma bisogna ricordare che quel «povero diavolo» è stato democraticamente eletto presidente del Consiglio per ben tre volte, demonizzato da tanti mass media e considerato un nemico da abbattere, dalla sinistra e affini, e non un avversario con cui confrontarsi e solo con tortuose manovre di palazzo è stato scalzato.
Pietro Drusiani
 
Le opinioni anche colorite ma civilmente espresse, come è del resto consuetudine dei nostri lettori, sono tutte bene accette. Alla sua opinione, caro signor Drusiani, aggiungo un’unica postilla: Silvio Berlusconi non venne “scalzato” da Palazzo Chigi. Quasi un anno fa si risolse a lasciare la guida del governo – senza alcun voto di sfiducia – e a passare timone (e campanellina presidenziale) a Mario Monti, prendendo atto dell’evidente impossibilità del suo esecutivo (il quarto da lui guidato in 18 anni) di fare ciò che doveva esser fatto per salvare l’Italia arrivata sull’orlo di un baratro economico-finanziario. Fu la presa d’atto di una sconfitta nell’azione di governo. E una scelta opportuna. Meno opportuno fu far nascere un governo solo tecnico e non anche tecnico­politico, come anche questo giornale provò a suggerire, prevedendo le difficoltà a cui un governo formalmente e sostanzialmente non­politico sarebbe andato incontro nel rapporto con il Parlamento e nell’interpretare la essenziale relazione con le parti sociali. Mancò in quel passaggio un’ulteriore, e a mio avviso indispensabile, dose di generosità, anche se molta ne era stata messa in campo da partiti (Pdl, Pd e Udc) che fino al giorno precedente si erano affrontati a muso duro e anche durissimo. L’azione di risanamento non ne avrebbe sofferto, quella di spinta alla ripresa ne sarebbe stata probabilmente rafforzata. Non ce n’è la controprova. Ma, per quel che vale, io penso che abbiamo pagato e stiamo ancora pagando un prezzo (politico e riformatore) per quell’impegno incompleto.
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