Serve «eudochia» (buona volontà). E l’aiuto di Dio
sabato 30 dicembre 2023

Gentile Tarquinio, in questi tempi di guerre infauste (Ucraina, Gaza e non solo), la lettura natalizia del Vangelo di Luca mi ricolma di dolce commozione e mi induce a una riflessione. Come ben sappiamo, la domenica a Messa non recitiamo più «pace in terra agli uomini di buona volontà», bensì «pace in terra agli uomini che Egli ama» (Luca 2,14). In base alla nuova formulazione, non è ben chiaro se il Signore reca la pace a tutti gli uomini (in quanto Egli li ama tutti) oppure solo a quelli che Egli ama. Diciamo che la nostra fede, unita a una dose di buon senso, ci suggerisce di prender per buona la prima interpretazione, con buona pace del teologo-biblista estensore... Oserei però dire che ciò che non mi convince è l'interpretazione che alcuni anni fa (la nuova versione risale al 2008) è stata data al testo originale greco, ribaltando l'attribuzione della eudochia (letteralmente buona disposizione della mente, dell'animo) non più agli uomini, come il testo indica abbastanza chiaramente (tois antropois eudochias), bensì a Dio. Il fatto che tale interpretazione non apparisse del tutto convincente lo dimostra la pagina che “Avvenire”, in concomitanza con l’introduzione della nuova formula nella recitazione domenicale, dedicò l'11 dicembre 2020. Lei, allora direttore, scelse di pubblicare un articolo a favore della nuova formulazione, a firma del biblista Giulio Michelini, e uno dubbioso a firma del grande filologo Carlo Ossola. Vengo al punto. Osserviamo oggi sconsolati che una moltitudine di esseri umani in Ucraina (e negli altri desolati luoghi di guerra) rifugge da quel dono di pace che una moltitudine celeste cantava davanti alla greppia. E questa amara considerazione non trova forse la sua ragione nel fatto che la pace – sublime dono di Dio – richiede anche un pizzico di buona volontà, e di impegno, da parte degli uomini? E che la pace di Dio non può arrivare a coloro che non aprono il loro cuore all'accettazione? Accettazione che richiede in definitiva quell'atto di buona volontà... Sappiamo infatti che, con il discorso della montagna («beati gli operatori di pace»), Gesù lasciò chiaramente intendere che le beatitudini si raggiungono, con il soccorso della Sua grazia certamente, ma anche a prezzo di un nostro inderogabile impegno. Non possiedo competenza per muovere critiche a coloro che hanno formulato la nuova versione del Gloria. Mi permetto, scherzando, di suggerire loro di andare a una paginetta che il grande Jacques Maritain scrisse (pagina 38 de “Il contadino della Garonna” del 1965), dove con sottile umorismo prendeva in giro quei professori che egli trovava vittime di «cronolatria epistemologica». Maritain intendeva, con questa espressione, il fissarsi ossessivo, da parte di taluni esegeti, sul tempo che passa, in preda a un'ansia di scovare nei testi una sempre nuova interpretazione, mossi dalla ricerca spasmodica (e un tantino narcisista) di ciò che potesse essere mai sfuggito al gran fiume di santi e teologi che hanno sostenuto il cammino della Chiesa negli ultimi duemila anni. Auguri a tutti.

Paolo Costa

Gentile Marco Tarquinio, vorrei augurare a tutti noi giorni di festa veramente santi, che ci illuminino, confortino e rafforzino, in questi tempi non facili in Italia e nel mondo. Penso soprattutto ai cristiani perseguitati, ai dissidenti incarcerati, ai popoli in guerra e alle popolazioni affamate... Dal 7 ottobre penso soprattutto a Israele, che per me ha il volto di persone carissime, ebrei israeliani, che hanno perso parenti e amici nella carneficina di quel sabato e per la cui incolumità trepido da quando li conosco. Una sofferenza che è lo specchio di quella di un intero Paese che da due mesi sta partecipando a più funerali e visite di condoglianze di quanti tocchino in sorte alla maggior parte di noi in molti anni. Il trauma è profondo, non solo per il numero di morti, ma soprattutto per l’efferatezza dei crimini, per la crudeltà verso i rapiti, per l’osceno vanto della barbarie. Ed è aggravato dalle reazioni di quelli che hanno festeggiato e approvato, di quelli che hanno tardivamente e tiepidamente condannato e – peggio ancora – di quelli che, in Occidente, hanno compiuto atti anti-ebraici. I terroristi di Hamas, finché il mondo non si mostra unanime nel volerli disarmare, penseranno di aver ancora chance. Non faccio che pregare il Signore perché ponga fine allo spargimento di sangue, in un modo che non sia una semplice pausa per riarmarsi e ricominciare, ma dia solide fondamenta di una pace duratura, nella libertà e nella giustizia, e permetta sia agli israeliani sia ai palestinesi di godere della propria indipendenza nazionale. Credo che la comunità internazionale potrebbe far molto per favorire la pace, cominciando dall’educazione alla pace e al rispetto dell’altro, che ne è la premessa indispensabile. Non ignoro le sofferenze dei civili di Gaza (e trepido per la sorte della sua minuscola comunità cristiana, così duramente colpita), ma non credo si possa permettere ad Hamas o gruppi simili di conservare un qualsiasi potere a Gaza e di tentare di conquistarlo in Cisgiordania. Non ignoro nemmeno la questione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, però si possono sempre richiamarne gli abitanti in Israele (come fu fatto a Gaza nel 2005) o concordare che possano restare in uno Stato di Palestina (come esiste un 20% di arabi cittadini israeliani), ma so che è umanamente impossibile ridare la vita ai morti e che sarà difficile ricostruire fiducia. Occorrerà molto lavoro e, credo, l’aiuto divino per curare questa ferita, ma sarà tanto meno difficile quanto più la comunità internazionale nel suo insieme (vorrei dire, la società umana) si mostrerà ferma nel rifiuto del terrorismo.

Annalisa Ferramosca


Metto in sequenza, oggi, al limitare dell’anno 2023 le lettere di due amici lettori, l’ingegner Costa e l’avvocata Ferramosca, che ho incontrato in diverse occasioni su queste nostre pagine. Due riflessioni piuttosto diverse tra loro, ma accomunate dall’eleganza e dalla passione umana e cristiana delle argomentazioni e segnate, la prima in forma certamente più esplicita e diretta, dalla consapevolezza di quanto possa essere importante nella vita sociale e – per chi crede – nel rapporto con Dio l’eudochia, termine greco che nasce da una duplice radice (eu, bene, e dokeo, pensare, dare la propria opinione) e che siamo soliti tradurre in italiano con “buona volontà”. Un’espressione e un’attitudine, questa, che anch’io amo molto, che uso spesso – qualche lettore, forse, lo ricorderà – e che, lo ammetto, un po’ mi manca proprio lì, al principio della Messa, nella preghiera del “Gloria” che dice a Chi guardiamo (Dio-Amore) e per che cosa fare e accogliere (la Pace). Dico subito che non entrerò in profondità nella questione sollevata da Paolo Costa, che come me porta il segno della formazione nello scautismo cattolico. Lo ringrazio per aver ricordato che due anni fa decisi di mettere a disposizione di chi ci segue le acute note sul cambiamento del testo italiano del “Gloria” proposte da padre Giulio Michelini e dal professor Carlo Ossola (personalità di straordinaria cultura e sensibilità, preziosi collaboratori di questo giornale e cari amici che, approfittando dell’occasione, saluto con affetto e grati auguri). Opinioni diverse. Lo feci proprio per sottolineare un punto che mi preme molto, e cioè che pregare con le parole e le espressioni che, di volta in volta, la Chiesa sceglie e ci suggerisce di adottare non significa perderne altre, ma magari ricomprenderle meglio tutte e diventare, così, un po’ più “ricchi” nel dialogo con Dio e nella condivisione delle parole comuni. Noi cristiani siamo e restiamo, anche in questo senso, quelli dell’et et. Aggiungo un’ulteriore annotazione personale: da molti anni, ormai, vivo tra Roma e Milano e passare spesso dalla liturgia secondo il Rito Romano a quella del Rito Ambrosiano e viceversa non mi disturba affatto, e mi fa anzi apprezzare le differenze piccole e grandi e i significati che esse fanno emergere.

E vengo alla seconda lettera, tutta concentrata sulla guerra israelo-palestinese., In essa non si parla esplicitamente di “buona volontà”, ma Dio sa quanto i belligeranti e noi tutti abbiamo bisogno di eudochia per uscire dall’incubo di sofferenza, di sangue versato e d’odio a cui diamo sostanza anche solo dicendo “strage del 7 ottobre” e pronunciando il nome di “Gaza”.

Sono d’accordo con Annalisa Ferramosca su quanto sia importante dare avvio alla necessaria svolta anche in questo lungo e terribile conflitto «cominciando dall’educazione alla pace e al rispetto». Impresa essenziale e di medio-lungo periodo che dovrà capovolgere la catechesi della violenza e della sopraffazione alimentata dalle ingiustizie e dai lutti che si sono accumulati per ormai tre quarti di secolo. Ma non basta e non basterà questo, temo. Così come non basta e non basterà il pur sacrosanto ripudio del terrorismo, che io credo debba essere scandito e attuato sia da parte palestinese sia da parte israeliana. Semina intollerabile del terrore è, infatti, quella di chi attacca e massacra compiendo gesti di totale disumanità, ma non lo è di meno la guerra di rappresaglia di chi bombarda profughi civili e convogli umanitari delle Nazioni Unite. Serve un ritorno alla politica, alla grande politica capace di districare le matasse con paziente eudochia, non cambiando cioè con un impossibile colpo di bacchetta magica il disordine atroce delle cose, ma costruendo le condizioni perché il cambiamento avvenga e sia strutturale attraverso un processo che comincia dall’accettazione reciproca e porta a smontare la fabbrica del rancore e delle infinite e sempre più feroci vendette incrociate. Io, insomma, sto con i familiari degli ostaggi israeliani che considerano l’escalation militare decisa da Netanyahu una pietra tombale sulla speranza di riabbracciare i propri cari e hanno gridato in faccia all’attuale primo ministro il loro basta: «Quanto a lungo continueremo questo spargimento di sangue?». Bisogna sapersi mettere nei panni altrui, ma soprattutto in quelli di chi soffre ed è colpito nella carne e nell’anima. Se non si comincia da qui, non si arriverà mai... C’è molto lavoro per gli uomini e le donne di buona volontà. Questo auguro di cuore a tutte e tutti nell’anno 2024 che sta per iniziare. E che Dio ci aiuti.

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