giovedì 9 agosto 2012
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​Gentile direttore,
la squalifica del marciatore Alex Schwazer dalle Olimpiadi per uso improprio di un farmaco è un brutto colpo per il Coni, gli sportivi, i tifosi, l’immagine dell’Italia, insomma per tutti noi. Una ferita inaspettata, proprio da un giovane sportivo, uno acqua e sapone, come si suol dire, pronto a soffrire e a letteralmente sudare per uno sport faticoso e poco praticato. Ora temo soprattutto i commenti superficiali che anche i media propongono in dose d’urto dopo simili fatti. E sorrido, ricordando una frase di papa Paolo VI che mi impressionò: «Non esiste delitto, anche il più efferato, che non possa esser commesso anche dal Papa...». Un modo diretto e chiaro per dire che tutti noi, ogni uomo, sempre e dovunque, è un insieme di bene e male. Un intreccio di virtù e di vizi. Di meriti e di colpe. Di coraggio e di codardia. Un groviglio di umanità che può pendere da una parte o dall’altra per le variabili personali e sociali, per storie vissute o esperienze negate, per meriti ricevuti o castighi subiti. Un intreccio che può vacillare verso l’onestà o la disonestà, ma che è sempre presente in tutti noi. Un esempio: anni fa vidi un glicine cresciuto attorno a un vecchio palo elettrico. Il marrone scolorito del palo di legno e il colore del glicine si confondevano e si intrecciavano in modo straordinario e solo in alto si capiva dove terminasse il palo e dove la pianta. Mi venne alla mente la coscienza umana: un intreccio di bene e male, un groviglio che può indurre azioni di bontà e contemporaneamente gesti di cattiveria. La coscienza di ogni essere umano, di ciascuno di noi, sia esso umile o potente, sconosciuto o famoso, povero o ricco, sportivo o spettatore delle Olimpiadi davanti alla televisione è questo intreccio. Ogni sbaglio, ogni delitto potrebbe esser commesso anche da noi, ogni scorrettezza sportiva potrebbe esser la nostra, ogni violenza contro i piccoli, potrebbe interessarci. Un rischio che crea paure e vertigini. Ecco perché occorre evangelicamente «vigilare per non cadere in tentazione». O, in termini moderni, essere attenti per non corrompere la propria coscienza. Mai. Per nessun motivo. Perché in fondo, se ognuno di noi facesse il proprio dovere, il semplice e forse dimenticato dovere personale – in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nelle istituzioni pubbliche, nello sport, nella politica – tanti problemi di scorrettezza, corruzione, sopraffazione, ingiustizia, abuso, verrebbero a cessare. E si vivrebbe meglio.Ma in tutto questo, che c’entra il povero marciatore Alex, reo di aver preteso di gareggiare in modo scorretto per l’oro olimpico? Il giovane Alex forse pressato per i risultati o allettato dal premio olimpico (mi lasci dire, direttore, davvero esagerati i compensi Coni per i vincitori in questo periodo di crisi economica), esaltato da molti, invidiato da altri, ha preteso non solo il massimo da se stesso, ma “il di più”, quello che solo pochi riescono a raggiungere con sacrifici, tenacia, allenamento e fortuna. O forse gli è mancato qualcuno accanto che gli dicesse di fare solo il proprio dovere, di esser pronto ad accettare anche la sconfitta. Qualcuno che gli facesse sentire che sarebbe stato grande anche se si fosse ritirato per stanchezza o incapacità. Qualcuno che lo spronasse a dare il meglio di sé, il massimo in modo onesto, anche se non sufficiente per vincere.Talvolta noi stessi ci perdiamo in deliri di onnipotenza, e allora basta un familiare che dica: «Ma non credi di esagerare?» o un amico che brutalmente ci rimproveri di crederci chissà chi, o magari un prete (per chi è praticante) che in confessione ci ricordi che «non siamo Dio», per farci rientrare in una dimensione umana più semplice e veritiera. Forse per vivere bene con dignità e non perdersi, bastano proprio poche cose. Svolgere bene il proprio lavoro, sempre, ogni giorno, con tenacia, passione e onestà. Ascoltare le persone attorno a noi che vedono i nostri limiti e come disse Freud, sono il nostro specchio, attraverso il quale possiamo riconoscerci e correggerci. Riflettere spesso su noi stessi, cioè rientrare nella nostra umanità che è sede della più profonda verità, come scrisse il grande santo e, primo grande psicologo della storia, Agostino. Forse, così, non ci meraviglieremo delle colpe di grandi personaggi o di sconosciute persone, chiedendoci ingenuamente perché tali fatti succedano a “persone normali”. Forse, come ben scrisse Hemingway in un suo famoso libro, la “campana” che ci avverte di sbagli, errori, colpe, non suona solo per gli altri, ma spesso e forse ogni giorno, suona anche per noi. 
Elisabetta Musitelli, pediatra a Zogno - Bergamo
 
Mai dare per scontati i vaniloqui, cara dottoressa Musitelli: si possono ben fare commenti non superficiali, anche sul caso di Alex Schwazer. Come quello che lei propone con molta efficacia, come il bell’editoriale di Massimiliano Castellani e come la testimonianza-appello di don Marco Pozza che abbiamo pubblicato ieri mattina. Per parte mia, davanti a “intrecci” apparentemente inestricabili e che mettono alla prova il nostro senso di giustizia e di umanità e reclamano reazioni esemplari, credo che la grande cosa da riuscire a fare sia quella di sanzionare l’atleta sleale e salvare la persona. Né più né meno.
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