Sarà più facile fermare la guerra che fare vera pace. Ma il perdono...
giovedì 10 marzo 2022

Caro direttore,

la tradizione ortodossa di aprire la Quaresima con la 'domenica del perdono' è talmente bella e toccante che non oserò sciuparla con le mie perplessità circa l’omelia che il patriarca di Mosca Kirill ha tenuto in questa solenne circostanza. Preferisco soffermarmi su una frase, tratta dalla stessa omelia, dove possiamo più facilmente riconoscerci: «Il perdono senza giustizia è capitolazione e debolezza». Il dilemma tra perdono e giustizia si porrà un giorno, speriamo vicino, quando la 'operazione speciale' – come il presidente russo Putin chiama ipocritamente la guerra che ha scatenato – dovrà finire. E dal momento che una conclusione unilaterale stile Berlino 1945 non è, grazie a Dio, né ipotizzabile né tantomeno auspicabile, dobbiamo abituarci all’idea di dovere un giorno mostrare comprensione – o «debolezza», direbbe il Patriarca – verso chi non ha fatto nulla per meritarsela. Infatti, come osservava amaramente anni or sono un politico bosniaco, se uccidi un uomo ti trascinano in tribunale, ma se ne ammazzi centomila ti invitano ad una conferenza di pace. Non so in che condizioni arriveremo a quel giorno, ma è certo che ristabilire la pace sarà assai più arduo che far cessare la guerra. A ben vedere, l’invito del Santo Padre a chiedere umilmente la pace a Colui che solo può darla ai nostri giorni, appare non solo utopia, ma l’unica cosa veramente razionale. Senza nulla togliere agli sforzi di quanti, ispirati da Lui, lavoreranno per ottenerla.

Luca Fabri, Genzano di Roma

Scrive cose molto sagge, caro amico, e molto vere. Aggiungo solo che il perdono, a differenza della vera pace, non pretende sempre una premessa di giustizia. Cristo stesso ci ha insegnato, e dimostrato, che il perdono può essere un unilaterale e immenso atto d’amore e di pura libertà. Un evento che sembra incontenibile nella nostra umanità, eppure accade e salva.

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