martedì 1 agosto 2017
L'Italia rifiuta l'applicazione arbitraria di Dublino. Quanto sta succedendo non rappresenta il fallimento della Ue ma degli Stati europei
Salvati in mare: torni la vera legalità
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Caro direttore,

quanto sta succedendo sull’immigrazione non rappresenta il fallimento della Ue ma degli Stati europei: è la fotografia dell’entropia politica in cui precipitiamo se non ci diamo regole comuni. Di fronte agli sbarchi l’Unione Europea balbetta perché è disarmata: non esiste una politica comunitaria sulle migrazioni.

La Ue esiste dov’è previsto che ci sia: moneta, mercato interno, libertà fondamentali dei cittadini europei… dove non è previsto, come nel governo delle migrazioni, semplicemente non c’è. La disintegrazione europea non è un effetto, ma la causa della crisi che è sotto i nostro occhi, in assenza di un quadro di diritto europeo.

Dal 2013 a oggi l’Italia si è sforzata di adempiere a tutti gli obblighi che la Convenzione di Ginevra e il diritto del mare prescrivono: le centinaia di migliaia di persone che abbiamo salvato e ospitato (di cui valutiamo le richieste di asilo o protezione umanitaria) non sono il prodotto di una 'dissennata' generosità (sinistramente chiamata 'buonismo'), ma la conseguenza di impegni che il nostro Paese (non questo o quel governo) ha liberamente sottoscritto nel consesso della comunità internazionale. Le norme del Regolamento 'Dublino III' (sulla competenza dello Stato di primo ingresso nella Ue a esaminare la domanda di asilo) non sono affatto recenti, ma vecchie di più di un quarto di secolo. Risalgono alla Convenzione 'Dublino I' del 1990, confermate nel Regolamento 'Dublino II' del 2003 e non avrebbero potuto essere modificate unilateralmente dal nostro Paese nel 2013, in occasione del varo della terza versione. Esse stabiliscono che la competenza sia del Paese di primo ingresso solo quando il richiedente asilo abbia varcato «illegalmente» i suoi confini.

Per la quasi totalità dei rifugiati presenti oggi in Italia, l’ingresso non è affatto «illegale», ma autorizzato dalla Guardia Costiera e operato da mezzi militari degli Stati membri o da parte di Ong, in ottemperanza ad accordi internazionali ( Triton, 2014 e Sophia, 2015). Su tale norma è intervenuta recentemente la Corte di Giustizia europea che, rigettando la richiesta dell’Avvocato Generale, ha confermato Dublino III anche in caso di afflussi massicci. Tale pronuncia tuttavia non riguarda il caso degli approdi in Italia, che rappresentano una fattispecie diversa dagli arrivi via terra. Nel nostro caso, la gran parte dei richiedenti asilo entra sul territorio nazionale grazie a mezzi navali (anche non italiani) dopo un salvataggio in mare (generalmente in acque internazionali), operato in base a norme internazionali vigenti. Il caso quindi non è chiuso: l’interpretazione italiana dimostra che solo dove esiste un quadro di diritto e una possibile giurisdizione comune sia possibile muoversi in una logica comune. Nel caso dei salvataggi in mare Dublino III è evidentemente inapplicabile perché nessuno tocca il nostro suolo «non autorizzato».

*Viceministro e **Sottosegretario degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale

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