Dopo oltre tre anni di intensi negoziati gli Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) hanno adottato a Ginevra il primo accordo mondiale sulle pandemie, che mira a rafforzare la collaborazione a livello globale per la prevenzione di future minacce pandemiche, preparando risposte difensive e terapeutiche verso a simili calamità sanitarie. È il coronamento degli sforzi negoziali avviati dai governi in risposta ai devastanti impatti della recente pandemia da Covid-19, che aveva messo in evidenza le gravi lacune gestionali e sanitarie delle nazioni, ognuna delle quali aveva agito senza una strategia comune. In un mondo sempre più globalizzato è impensabile non muoversi in maniera sincrona per affrontare e arginare epidemie e pandemie. Le malattie infettive non sono solo un retaggio del passato ma un rischio presente e una realtà futura con cui ci si dovrà sempre confrontare.
L’accordo mette a fuoco alcune strategie oggi imprescindibili per un’efficiente difesa sanitaria. È prevista l’istituzione di un sistema di libero accesso alle conoscenze sugli agenti patogeni: scienza aperta e dati condivisi in ambito microbiologico e condivisione del sapere sul piano terapeutico devono essere la regola dell’informazione scientifica e della pratica medica. Si dovranno sviluppare capacità di ricerca geograficamente diversificate, sia perché le minacce sanitarie globali sono differenti, sia perché occorre ormai sempre agire nell’ambito di un approccio “One Health” integrato dalle visioni di “Global Health” e di “Planetary Health”.
“Una sola salute”, che salvaguardi l’ecosistema e arrivi a preservare la salute umana passando dalla conservazione della salubrità vegetale e animale, dovrà diventare la modalità sanitaria di riferimento. “Una salute globale”, che miri a dare completa attuazione a una visione complessiva (bio-psico-sociale) della salute sul piano esistenziale, come diritto umano fondamentale, in cui salute e malattia sono considerati risultati di processi non solo biologici, ma anche economici, sociali, politici, culturali e ambientali, è oggi imprescindibile. “Una salute planetaria”, che la concepisca come un processo da realizzare trascendendo e superando le prospettive, gli interessi, le possibilità delle singole nazioni, è una prospettiva da perseguire.
In questa prospettiva si prevede di adottare misure concrete per rafforzare le funzioni di resilienza dei sistemi sanitari nazionali affinché possano agire con prontezza in caso di necessità, creando anche una catena di approvvigionamento globale per vaccini e farmaci e una rete logistica funzionale per la loro attuazione. Collegate a queste ipotesi di lavoro sono anche le modalità operative per agevolare il trasferimento di tecnologie sanitarie e delle relative competenze per la produzione dei prodotti sanitari connessi alle pandemie (come per esempio i vaccini) e la mobilizzazione di una forza-lavoro compente per affrontare le emergenze sanitarie nazionali e globali.
Si potrà così fornire alle popolazioni del mondo una risposta più rapida, più efficace e più equa. Un obiettivo giusto e ambizioso, che ovviamente deve prevedere anche un meccanismo finanziario per sostenere queste iniziative sanitarie e il loro coordinamento. In questa prospettiva i tagli imposti all’Oms dalla riduzione dei contributi degli Stati membri (gli Stati Uniti, i maggiori finanziatori, con la presidenza Trump hanno tagliato completamente i fondi di loro competenza destinata all’organizzazione) diventano una questione cruciale. Senza risorse economiche anche le migliori intenzioni sanitarie rischiano di rimanere sulla carta. Tanto più che se quello che le nazioni sono disposte a spendere per finanziare l’Oms per una salute diffusa ed equa ammonta a un budget annuo di poco superiore a 2 miliardi di dollari – come è nelle previsioni –, che è «come la spesa militare di ogni 8 ore, il prezzo di un bombardiere Stealth», ha fatto notare il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus, certamente si assiste al paradosso che gli Stati preferiscono spendere cifre enormi per uccidere le persone, ma un’inezia per preservare la loro salute. Un’assurdità etica, culturale, politica e sanitaria che si commenta da sé.
L’accordo è stato approvato con 124 voti a favore, nessun contrario e 11 Paesi astenuti: tra questi, oltre a Iran, Israele, Russia, Slovacchia e Polonia, figura anche l’Italia, che ha motivato la sua decisione perché intende «riaffermare la sovranità degli Stati nell’affrontare le questioni di salute pubblica». Una scelta forse non particolarmente lungimirante, per due ragioni. Innanzitutto perché in un mondo globalizzato e in cui la libera circolazione delle persone è inevitabilmente accompagnata anche dalla libera circolazione degli agenti patogeni, la salute è anch’essa un elemento globale, che non può più essere affrontato isolatamente da ogni singola nazione. In secondo luogo perché l’accordo afferma esplicitamente che nessuna disposizione del progetto deve essere interpretata nel senso di fornire all’Oms l’autorità di ordinare, modificare o prescrivere politiche o leggi nazionali o di imporre agli Stati firmatari di intraprendere azioni specifiche, come rifiutare o accettare viaggiatori, imporre obblighi di vaccinazione o misure terapeutiche particolari o attuare strategie di lockdown.