venerdì 29 ottobre 2010
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Se a Rosarno gli immigrati vivono – quando va bene – in sette in una stanza, in casette indegne di questo nome, senza porte e finestre, senza acqua e luce, pagando 150 euro al mese, e a Drosi, a pochi chilometri, vivono in tre per stanza, in appartamenti dignitosi, con bagno, cucina, acqua e luce, pagando 50 euro al mese... Se a Rosarno gli immigrati lavorano in gran parte in nero, pagati 25 euro al giorno, e a Polistena e a Rizziconi – a pochi chilometri – lavorano con contratto regolare, il motivo è in due parole: "assenze" e "presenze".Assenze dello Stato e delle altre Istituzioni, nazionali, regionali e locali, che nove mesi fa, dopo la «rivolta di Rosarno», promisero interventi per evitare degrado, sfruttamento, emarginazione. Promesse rimaste sulla carta, per lentezze e ostacoli (come minimo...) burocratici. Lo ammettono onestamente responsabili delle stesse Istituzioni.Presenze, invece, della Chiesa locale e del volontariato che con intelligenza, efficienza, semplicità, e spesso a "costo zero", hanno pensato e realizzato in pochi mesi progetti di concreta integrazione e di autonomia. Non solo di pur necessaria assistenza. Non solo per fornire cibo e coperte. Non solo per dare vicinanza e ascolto. Ma case vere e lavoro vero, nella legge e secondo le regole. Chiedendo e ottenendo collaborazione dai cittadini, dai proprietari di case, dagli imprenditori agricoli: una bella rete di solidarietà fattiva. La Calabria che accoglie, che non scaccia l’immigrato, che non dà la caccia al nero, che non lo sfrutta che sa quanto la sua presenza sia preziosa per un sistema economico in perenne difficoltà.Nove mesi fa sulle nostre pagine facemmo un raffronto tra il trattamento – ottimo – dei lavoratori immigrati in Val di Non, Trentino, e quello – pessimo – a Rosarno, Calabria. Due Italie tanto lontane tra loro. Ora, grazie a questa "presenza", ai suoi progetti, appaiono più vicine. Si dimostra concretamente e semplicemente che si può fare anche in Calabria. Un bene che c’è e che va raccontato, così come non va nascosto e va raccontato il male. Il male e il bene. Che sottolineano il dovere di fare, di cambiare, di crescere. Perché dello Stato non appaia solo la faccia cattiva dei controlli e della repressione dell’illegalità, che sicuramente va fatta, e va fatta come si deve, ma che non può bastare.Non basterà a fine anno sbandierare le mille aziende "controllate" nella provincia di Reggio Calabria. Soprattutto se, come ci ha spiegato un addetto ai controlli, questi, per le solite assurde regole burocratiche, avvengono soltanto di mattina. I datori di lavoro irregolari lo sanno, e attendono l’ora di pranzo e il pomeriggio per utilizzare irregolarmente gli immigrati. Lo Stato sia più «furbo» dei furbi. Ma non basterà neanche questo, se non si saprà mettere in piedi un piano serio di accoglienza e integrazione alla luce del sole.Tanto più che sgomberi e trasferimenti di forza, finscono per piacere alla ’ndrangheta. A "collina di Rizziconi", doveva vivevano più di 500 africani, ammucchiati nella baraccopoli nata in un uliveto confiscato alle cosche, ora non c’è più un immigrato. Tutto è tornato pulito e tranquillo. E si è tornati a coltivare la terra. Le piante sono curate, il recente passaggio di un trattore è evidente. Ma non è opera del Comune, al quale il terreno è formalmente assegnato dal 2005. I boss ringraziano per lo sgombero delle scomode presenze e riprendono possesso dei "loro" beni. E nessuno fa nulla. Anche questa è "assenza". Assenza colpevole, che dura.
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