domenica 1 marzo 2009
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Caro Direttore, l’editoriale di sabato 21 febbraio invitava a sperimentare le ronde. Non con entusiasmo (ci mancherebbe!), ma con una certa fiducia che possano rispondere alle esigenze dei tempi. Anche nelle sperimentazioni però occorre far uso della ragione, tanto più se si maneggiano sostanze esplosive. Già oggi gruppi di cittadini amanti della legalità scorrazzano per le periferie, soprattutto di Roma e di qualche altra città, e la cronaca dà conto di pestaggi e violenze. È del tutto verosimile, anzi certo, che la gran parte di queste violenze rimanga ignota e impunita: quanti stranieri irregolari picchiati o feriti vanno dai giornalisti o sporgono denuncia? Bene, di fronte a questo dilagare di violenza, che non fa mai «giustizia», ma aumenta il clima di allarme e di odio, la soluzione da sperimentare sarebbe quella di autorizzare le ronde? Si ritiene che il solo fatto di averle autorizzate indurrà questa gente, nel migliore dei casi impreparata, alla moderazione? E chi controllerà se davvero saranno disarmate e rispetteranno le regole, se si dice che le forze di polizia non sono in grado di presidiare queste situazioni? La storia dovrebbe far diffidare con orrore perfino dall’ipotesi che anche da noi possano prender piede gli «squadroni della morte» già sperimentati ieri e oggi. I mezzi di comunicazione hanno in modo speciale la responsabilità di indicare le vie per affrontare saggiamente i problemi e di non cavalcare l’onda delle emozioni.

Danilo De Regis Bresso (Mi)

Caro Direttore, ha provocato una forte reazione in molti la sola proposta di istituire delle ronde notturne contro la malavita crescente un po’ ovunque. Certo che il nome «ronda», da solo, sembra alludere al farsi giustizia da soli: va quindi doverosamente precisato il senso dei termini e dei limiti. Non vedo nulla di male, anzi mi pare utile organizzare legalmente gruppi di volontari che chiamerei piuttosto sentinelle, «City Angels» come a Milano, assistenti civici, guardiani di quartiere, mettendo da parte lo sgradevole termine di «ronda». D’altronde ammiriamo quei bravi nonni, con tanto di fascia al braccio, che proteggono i bimbi all’uscita dalla scuola. Selezionati e approvati da autorità competenti, debitamente addestrate e attrezzate queste persone sarebbero, a mio avviso, un deterrente efficace contro i furbetti e non solo. Naturalmente andrebbero istituiti dove, quando e finché sono utili e potrebbero addirittura essere inquadrati nella benefica e lodevole «protezione civile». Viva il volontariato.

don Graziano Marini Romans d’Isonzo (Go)

Ho voluto dare risalto a due delle varie lettere (Giuseppe Antezza, Luigi Calcagni, Peppe Sini, Raffaele Ibba, Gabriele Felice, Giuseppe Delfrate, Tiziano Guastoni, Arone, Emilio Andreini, Giovanni Volpato...) giunte a commento del fondo apparso il 21 febbraio a firma di Giuseppe Anzani sul tema delle «ronde» (pessima parola, è vero, ma questa gira), in quanto mi sembra raccolgano e riassumano preoccupazioni e possibilità che merita tenere presenti. La posizione di Avvenire era delineata chiaramente in quel testo: nel dire che la misura non entusiasma, intendevamo esprimere un’antica preclusione verso un’ipotesi che in passato si era già affacciata, e che ora la politica rielabora in termini che la modificano profondamente, al punto da renderla almeno suscettibile di una sperimentazione. Ma il punto di partenza dev’essere sempre la realtà concreta (non quella illusoria) dei nostri paesi e delle nostre città, compresi quei siti di periferia che talora si dilatano a dismisura, includendo territori di semi­abbandono e al di fuori di ogni controllo. Osserviamo che i governi e le maggioranze si succedono, e nessuno alla prova del fuoco mostra di possedere la bacchetta magica. Intanto le violenze consumate a ripetizione sulle donne assumono il valore emblematico di una condizione di insicurezza, che ha ripercussioni allarmanti a più livelli. La gragnuola di notizie macabre che nelle settimane scorse è caduta sulla cittadinanza non poteva non scuotere, assieme all’opinione pubblica, tutte le forze politiche. Ora, al punto in cui si è arrivati, che tra le diverse misure adottate ci sia anche una forma di vigilanza civile sul territorio, non in sostituzione, ma in aiuto alle forze dell’ordine, onestamente è qualcosa che come giornale non potevamo respingere con superficialità o mero pregiudizio. Essere allergici alle cicliche sparate della Lega non può significare un rifiuto preconcetto rispetto a proposte che solo perché hanno una qualche assonanza con quel partito andrebbero radicalmente escluse. Mi ha colpito infatti che nei Comuni veneti, all’indomani del varo di quel provvedimento, i responsabili della Lega si siano precipitati a dichiarare che le loro milizie non si sciolgono perché sono un’altra cosa. E infatti l’operare senza armi e senza strumenti di offesa, e il dover sottostare alle disposizioni dei prefetti sono due elementi che differenziano qualitativamente le due iniziative. Devo essere in questo senso molto sincero: se ritenessi realistiche le derive paventate dal signor De Regis, il mio giudizio non potrebbe non essere radicalmente diverso. In coscienza, e per gli elementi che oggi sono a nostra disposizione, mi pare invece che vadano onestamente escluse. Anzi, ho l’impressione che i rischi di comportamenti scriteriati possano pesare di più in assenza di regole che non quando ci saranno gruppi identificati, formati e coordinati come l’iniziativa governativa li lascia intendere. Nessuno d’altra parte può dubitare sulla lealtà delle nostre forze dell’ordine, e sulla loro capacità di vigilare su queste formazioni, denunciando pubblicamente eventuali abusi. Forse davvero, come rileva don Marini, è il termine «ronde» ad aver caricato di antipatia la misura. Per quanto ci riguarda, terremo d’occhio l’iniziativa e non mancheremo di darne conto, evidenziando sia gli aspetti positivi che quelli problematici o anche negativi.

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