martedì 8 aprile 2014
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Si celebra oggi la Giornata internazionale dei popoli rom e sinti. È una celebrazione nata nel 1971 a Londra dove, per la prima volta, si svolse un raduno europeo della più numerosa minoranza del nostro continente. Oggi, a più di quarant’anni di distanza da quell’evento, i rom e sinti nei 28 Paesi della Ue sono stimati tra i 10 e i 12 milioni. In Italia sono circa 150mila, di cui la metà cittadini italiani e buona parte di Paesi comunitari come la Romania e la Bulgaria. Va ricordato il dato più evidente: si tratta di una popolazione molto giovane. Il 35,7% dei rom e sinti che vive in Italia ha meno di 15 anni, mentre i loro coetanei in Europa raggiungono soltanto il 15%. C’è poi un altro dato che sfida tante categorie vecchie con cui li si guarda considerandoli nomadi: l’80% di loro sono ormai stabili. È dunque un errore affrontare la questione con le categorie del "nomadismo". Rom e sinti chiedono stabilità. È quello che l’Europa ha capito e cerca di trasmettere ai Paesi membri. La Commissione europea nel 2011 ha delineato i quattro assi portanti della politica del continente riguardo questi popoli: inserimento nel mondo del lavoro, politica di alloggi, accesso alle cure e all’istruzione. Sono assi di una politica di integrazione che tiene conto della realtà e non di stereotipi o antichi pregiudizi. L’integrazione appare l’unica strada per evitare fenomeni di antigitanismo nei popoli europei e di illegalità nei popoli rom e sinti. La prima integrazione deve partire dalla scuola poiché più di un terzo di questa minoranza è in età scolare. Eppure fa impressione il dato sulla frequenza scolastica. In Europa solo il 42% dei bambini rom e sinti completa la scuola primaria. I loro coetanei "gagé" raggiungono il 97,5%. Se poi si passa alla secondaria il dato è ancora più preoccupante: solo il 10% la completano. È dunque sulla scuola che bisogna lavorare. In Italia sono iscritti a scuola solamente 11.400 rom e sinti: non certo un’invasione. È prioritario allargare questo numero. La scuola è il vero motore dell’integrazione soprattutto se riesce a favorire la frequenza scolastica regolare. Ciò aiuta a prevenire il coinvolgimento dei bambini in attività di accattonaggio e in altre attività lavorative, educa alla convivenza fra diversi e favorisce quella continuità di contatti fra genitori e scuola che è indice di responsabilità. Il diritto alla scuola – come titola un programma di successo di inserimento scolastico della Comunità di Sant’Egidio – è il diritto al futuro.Pochi giorni fa il Commissario europeo Viviane Reding ha affermato: «Sono avvenuti piccoli miracoli nel percorso di integrazione dei rom in alcuni Paesi europei». Sono parole incoraggianti, che si riferiscono a fatti concreti di cui sono protagonisti i rom e sinti, le istituzioni e il mondo associativo, da cui ripartire per non perdere la speranza di giungere alla piena integrazione.Rom e i sinti continuano a rappresentare una "questione" nelle società occidentali, ma è un problema che eccede largamente la realtà oggettiva di una comunità piccola e marginale. Suscitano reazioni sproporzionate alla loro consistenza: poche migliaia in città di milioni di abitanti. Se dovessimo stare alle cronache di molti giornali, la loro rilevanza (e pericolosità) sociale è per lo più limitata a espressioni di piccola delinquenza. Ma è un fatto che più frequentemente essi sono protagonisti, anche nelle cronache, di drammi umani, come la morte per incidenti o per freddo dei loro bambini ancora troppo estranei alla maggioranza del corpo sociale. Bisogna far crescere la partecipazione di questi popoli al loro riscatto sociale. Il fatto è che sappiamo molto poco chi sono i rom e i sinti, anche se essi vivono nelle nostre città e nei nostri Paesi da secoli. Quali e quante differenze tra loro che non vengono nemmeno prese in considerazione! La costruzione culturale e sociale europea soltanto a fatica riesce a fare i conti con questa minoranza. Di essa continuiamo a sapere molto poco e, di conseguenza, ad assumercene poco la responsabilità. Dalla giornata internazionale che si celebra oggi venga alla nostra cultura, che ha sempre avuto l’ambizione di indagare a fondo con visioni e prospettive ogni aspetto della storia, la spinta ad approfondire una riflessione pacata e intelligente su questi popoli che hanno bisogno di integrazione. È più possibile, di quanto pensiamo e facciamo, dare loro un futuro umano e dignitoso.
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