Eurotrattativa difficile, scelta necessaria
giovedì 20 febbraio 2020

I capi di Stato e di Governo devono trovare un accordo sul nuovo “Quadro finanziario pluriennale” dell’Unione Europea, il bilancio comune per i prossimi sette anni. Il negoziato inizia oggi e sarà vibrante. Sul tavolo non c’è semplicemente una lista delle entrate e delle uscite e di come vengono ripartite le spese fra gli Stati membri: i leader avranno l’opportunità, in questa circostanza più che mai, di compiere una scelta politica e non solo tecnica sull’Europa di domani. Ne dovrebbe uscire finalmente una “visione”, ben più che un mero rapporto contabile.

Per due ragioni, almeno. Entrambe a loro modo epocali: sarà anzitutto firmato il primo bilancio europeo senza il Regno Unito, un contributore netto – la torta pertanto si assottiglia di circa 70 miliardi – la cui uscita dalla Ue ha un peso simbolico e geopolitico rilevante, che eccede in ogni caso la sola dimensione finanziaria. La seconda, di ragione, sta in quel 25% di risorse, su una dotazione complessiva nell’ordine dei 1.000 miliardi di euro, potenzialmente destinate al Green New Deal, il Grande accordo verde. L’Europa può cioè scegliere se diventare davvero il motore globale dello sviluppo sostenibile.

Il preventivo della Commissione era ambizioso: un bilancio pari all’1,11% del reddito nazionale lordo dell’Unione, circa 1.100 miliardi. Quello del Parlamento ancora di più: l’1,3% del reddito, 1.324 miliardi. La proposta negoziale del presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel, in discussione oggi, ha abbassato il tetto all’1,074% del reddito nazionale lordo, vale a dire 1.094 miliardi di euro ai prezzi del 2008. Andando incontro ad alcuni Paesi rigoristi del Nord Europa e scontentando in particolare Italia e Spagna, che vorrebbero invece alzare il tiro. Ballano circa 300 miliardi, tanti soldi, sui quali è molto probabile ci si accapiglierà.

Prima della quantità, visto che i numeri possono essere comunque maneggiati per litigare sul dove tirare una coperta fattasi più corta, converrebbe forse guardare alla qualità del bilancio. Il Quadro finanziario sposta infatti risorse dalla Politica agricola comune e dai fondi di Coesione – in entrambi i casi, pur con una sforbiciata, per l’uscita del Regno Unito gli agricoltori europei e l’Italia potrebbero avere addirittura più risorse a disposizione – a una maggiore condivisione del fenomeno immigrazione e soprattutto allo sviluppo sostenibile.

Aumentano nel primo caso, rispetto al bilancio in corso, gli stanziamenti per il Fondo per l’Asilo e le Migrazioni, le risorse per Frontex e quelle per il progetto Erasmus. Si alzano invece nel secondo le disponibilità per il programma europeo di ricerca Horizon Europe nonché, attraverso la Banca europea per gli investimenti, lievita in modo esponenziale il capitale per la transizione energetica e in generale la crescita sostenibile e l’economia digitale.

È la scelta di cui parlavamo all’inizio, una scelta d’indirizzo e quindi fortemente politica. Ma soprattutto, considerata la distanza che i cittadini sempre più percepiscono rispetto alla facciata tecnocratica della Casa comune, una rinnovata scelta comunitaria. Come alle origini del progetto, la Comunità (sostantivo) economica europea (aggettivi). Communitas ha origine da cum-munus. E la parola munus, dal triplice significato, rimanda sia a un dovere, sia a un debito, sia a un “dono-da-dare”. I soggetti della comunità, gli Stati membri dell’Unione, sono dunque uniti da un obbligo che li rende non completamente padroni di sé stessi. Per stare meglio insieme. La retorica nazionalista e ancor più quella sovranista sostiene il contrario.

E ha buon gioco, come nota il politologo William Davies, quando a comandare sono le emozioni dentro «Stati nervosi»: il risentimento delle campagne nei confronti delle metropoli e dei cittadini europei verso il palazzo-Europa è radicato nella sensazione strisciante che una classe ristretta di tecnocrati stia governando le Nazioni o l’Unione in base ai propri interessi. Se del resto si percepisce, quale effetto collaterale della globalizzazione, il crollo della propria comunità e del senso della propria vita, l’autoritarismo e il nazionalismo diventano allora più attraenti dal punto di vista politico e persino esistenziale. Ecco perché una scelta fortemente comunitaria e aperta al futuro sul bilancio europeo vale molto, molto di più dei 1.000 o 1.300 miliardi di euro sul piatto. L’Europa, questa volta, sta scegliendo davvero dove andare (o dove tornare). Marco Girardo

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