sabato 13 novembre 2010
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Caro Presidente,dopo aver letto con grande attenzione il discorso da lei tenuto domenica scorsa a Bastia Umbra, ho letto con altrettanta attenzione le messe a punto contenute nella lettera, che ha avuto la cortesia di inviarmi e che volentieri pubblichiamo qui sopra. Avevo, allora, preso buona nota non solo delle significative e condivisibili affermazioni da lei fatte sulle situazioni di disagio riguardanti cittadini italiani e stranieri immigrati in Italia, ma anche delle rischiose argomentazioni (e proiezioni programmatiche) a proposito di novazioni ordinamentali in materia familiare. Su queste ultime – oltre che su certo “ronzio radicaleggiante”, su ben note vicende parlamentari e su alcune sconcertanti accentuazioni anticlericali che hanno accompagnato la gestazione e la nascita del suo partito – mi sono soffermato martedì scorso (e nel frattempo ho dovuto registrare che uno dei più alacri laicisti di Fli, l’onorevole Della Vedova, si è addirittura fatto dipingere sul primo quotidiano italiano come un cattolico doc…).  Oggi devo prendere atto di altre importanti affermazioni, in particolare del passaggio in cui lei esclude «ogni ipotesi di parificazione di trattamento tra matrimonio e unioni di fatto, specie di quelle omosessuali», e di alcune sorprendenti interpretazioni (su cui non qui non mi soffermo). Ma devo soprattutto sottolineare che lei torna a parlare della «insufficienza di forme e istituti giuridici» in materia familiare, evocandone una pluralità che sia specchio di «diverse concezioni etiche». Temo che la strada sia scivolosa e rischi di finire da un lato nel burrone giuridico dei «matrimoni di serie b» (pacs e dintorni) e dall’altro di sfiorare quello  dei «matrimoni a tempo» pure giustificati da qualche etica per noi esotica (nonché dai fautori del divorzio–lampo alla Zapatero). Mi auguro che non sia così, ma questo s’intravvede. Ed è abbastanza.Come sa, gentile presidente Fini, e come sanno assai bene (e affermano) anche non pochi parlamentari a lei vicini, l’idea di famiglia che i cattolici – ma non solo i cattolici – considerano un valore non negoziabile è quella naturale, fondata sul matrimonio di un uomo e una donna e aperta ai figli. Questo è un bene civile (sul sacramento le norme dello Stato non intervengono di certo) da «ragionevolmente» preservare, fonte di duratura solidarietà interpersonale e di tenuta nella rete delle relazioni sociali. Su questo uno Stato dovrebbe puntare e investire. Per questo fare leggi. E, per quanto ci riguarda, su un punto così decisivo non può darsi uno «Stato neutrale».  Si chiedeva, proprio lunedì scorso il presidente della Cei, cardinal Bagnasco: «Se uno Stato, in nome di un’ipotetica neutralità o di altri pregiudizi, non si allarmasse a fronte di un prosciugamento dei presupposti etico–culturali cui deve invece attingere se vuole prosperare, come potrà rispondere con solidarietà e giustizia a situazioni e sfide emergenti?». Trovo che questa sia una delle domande–chiave nel tempo che viviamo. E nella sua cortese e utile lettera, per la quale la ringrazio, onorevole presidente Fini, non c’è purtroppo una risposta convincente e chiara.
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