Risparmiateci slogan sterili
sabato 23 luglio 2022

Nelle ore che hanno preceduto la fine del governo Draghi, più di un leader politico avrebbe preparato la svolta con i suoi parlamentari, mettendoli in preallarme così: 'Prepariamoci alla campagna elettorale'. Può dunque essere utile un promemoria per i prossimi due mesi, che parta innanzitutto da una rassicurazione, di fatto una smentita di quanto affermato in quelle sedi. In realtà, per buona parte dei partiti che si affronteranno a viso aperto nella contesa balneare in vista del voto del 25 settembre, la campagna elettorale non si è mai interrotta: è durata quattro anni e mezzo, tutto l’arco della legislatura. Non importa che si alternassero governi e maggioranze diverse, che alla guida ci fossero statisti o aspiranti tali, che si vestissero i panni di ministro o si agisse dall’opposizione. Ogni giorno, dal marzo 2018, è stato una buona occasione per entrare nel rodeo elettorale, con affermazioni a uso stampa, video promozionali sui social, polemiche strumentali. È stato un bene? È stato un male? Lo dirà il voto delle Politiche. I lettori, come ogni altro cittadino e cittadina, sapranno giudicare e individuare i profili giusti.

Qui, adesso, interessa ragionare sulle settimane che ci attendono, non senza aver stigmatizzato questo uso abnorme della comunicazione politica. Ha ancora senso parlare di campagna elettorale, quando siamo sommersi 365 giorni l’anno dalla propaganda che riduce la politica a un talk show permanente? Parleremo forse di programmi e di cose da fare adesso, sull’esempio di quanto indicato dall’«agenda Mattarella», richiamata nel discorso del Capo dello Stato all’atto delle dimissioni del governo di larghissima coalizione guidato da Mario Draghi? È un auspicio, ma purtroppo bisogna constatare che si sta andando in direzione contraria. E non solo per la scelta deflagrante di M5s, Lega e Forza Italia, forze allineatesi con diversi calcoli e motivazioni all’opposizione totale (tranne che sulla guerra) di Fdi.

L’opinione pubblica si prepari, dunque, a non cadere nelle tante trappole mediatiche che saranno stese lungo il percorso che conduce alle Politiche: slogan d’occasione, simboli usati a sproposito, dal sacro al profano, parole d’ordine dette apposta per eccitare e catturare minoranze agguerrite, fatti di cronaca strumentalizzati e 'usati' per una manciata di voti in più. Accadrà ancora, ahinoi, anche con comizi improvvisati sotto l’ombrellone. Tanto più che c’è un 'partito' da annettere al proprio schieramento, prima di ogni altro: quello dei potenziali astenuti o renitenti al voto, che al momento resta il più rappresentativo. Per questo, sarà importante il rispetto delle regole che sovrintendono al corretto svolgimento della competizione politica. Ci sono norme sacrosante, dalla par condicio al giorno di silenzio elettorale fino al divieto di pubblicare sondaggi nelle due settimane precedenti la consultazione, che sono ormai facilmente aggirabili (e sono già state aggirate) grazie all’uso spropositato dei nuovi mezzi di comunicazione digitale. Occorrerà avere le antenne dritte per cogliere veri messaggi di futuro, evitando di farsi incantare da ballon d’essai e inseguire da vecchi fantasmi.

La lista dei problemi sorti in questi mesi è troppo importante e aggiornata perché si sia costretti a confronti su temi che sanno di vecchio e di stantìo.
Servirà un dibattito 'alto' e, al tempo stesso, concreto sulla crisi economica che penalizza i ceti medio-bassi e sul potere d’acquisto, sul lavoro che manca per i giovani e sul nostro ruolo in Europa ai tempi della pandemia e della guerra.

La lezione delle due ultime legislature, par di capire, è complessiva e andrà anche oltre la prossima scadenza elettorale. È l’arte della politica che deve tornare in primo piano. Non confronto aspro e sterile, ma forte eppure civile. Azione di governo capace di rispondere ai bisogni delle persone e non ricerca spasmodica di consenso a tutti i costi.

Capacità di sintesi e di mediazione tra interessi diversi, e non irosa sommatoria di richieste corporative e di parte al solo fine di lucrare rendite di posizione. Se durante la cosiddetta Prima Repubblica si rimproverava a una gran parte della classe dirigente (altri tempi, altra tempra, soprattutto) di elaborare visioni lontane dai moti sentimentali e ideali dell’opinione pubblica, adesso si assiste al contrario: si corre il rischio di abbassare il livello dell’offerta politica per rincorrere gli animal spirits, fino ad assecondarne gli istinti più pericolosi, che si parli di grandi temi della vita democratica, della costruzione europea, dell’economia sostenibile, della guerra e della pace o si tratti di ordinaria amministrazione. È tempo di uno scatto, anche se la corsa sarà molto breve.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI