sabato 5 maggio 2012
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Oltre sette milioni di italiani sono chiamati, tra domani e dopodomani, a recarsi alle urne. C’è da decidere chi governerà più di mille Comuni e alcune storiche "capitali" della nostra Italia: Palermo, Genova, Parma, Verona. Tra essi quelli di altre città insigni e, loro malgrado, divenute in qualche modo simbolo – basti citare L’Aquila, Catanzaro, Agrigento – della ricostruzione morale e materiale che, non ci stanchiamo di ripeterlo, incombe come non più eludibile compito su noi tutti: classe dirigente e cittadini semplici di questo Paese. Le conseguenze di recenti disastri naturali, di antiche emergenze civili, della perdurante crisi economica e del progressivo collasso del sistema politico e partitico che è stato definito Seconda Repubblica hanno, per un verso, smorzato e, per un altro, esaltato il senso di questa tornata elettorale amministrativa. Che, per di più, è a pieno titolo parte di un processo elettorale che, nelle stesse ore, e a diverso livello, nell’Unione Europea coinvolgerà Francia, Grecia e Germania.Tutto questo ovviamente, non può essere ignorato né sottovalutato. Così come, per quanto ci riguarda, non può esserlo il greve clima antipolitico (anzi, più propriamente, contro-politico), che purtroppo si respira ormai a ogni livello e in ogni parte d’Italia, con una intensità obiettivamente senza precedenti. Questo peso supplementare – una vera e propria zavorra accumulatasi anche per la quasi incredibile serie di autogol messi a segno negli ultimi due anni dall’attuale classe politica – minaccia di gravare come non mai sui piatti della bilancia elettorale. Creando non solo le premesse per nuove "sberle", persino più sonore di quelle grandinate nella lunga primavera elettoral-referendaria 2011, ma anche per vere e proprie illusioni ottiche nella lettura dei risultati.C’è da augurarsi che non sia così, c’è da sperare in un piccolo-grande miracolo civile da parte di cittadini-elettori capaci di resistere alle tentazioni sia della porta sbattuta in faccia (ovvero del voto di protesta) sia delle sezioni disertate (ovvero dell’astensione per disorientamento e disgusto). Non ci stanchiamo di ripetere, del resto, che a livello di elezioni comunali l’arma della preferenza è rimasta ancora e sempre nelle mani di chi vota, e dunque la possibilità di scegliere e di incidere è reale. Perché, allora, rinunciare a usarla e a usarla meglio che si può? L’occasione è propizia anche per ribadire, anzi gridare a chi s’è impegnato a ridarci una legge elettorale nazionale come si deve (una legge, cioè, che non ci espropri più del potere di selezionare non solo un partito e uno schieramento, ma anche i nomi e le storie dei "nostri" parlamentari) che non è il caso di fare nuovi pasticci e di tentare altre prese in giro.Intanto, domani e dopo, i limpidi ed esigenti criteri che abbiamo a disposizione nella "fatica" di riconoscere rappresentanti e amministratori comunali degni della nostra fiducia non cambiano. Sono gli stessi di sempre, e più di sempre – proprio alla luce delle cronache non esaltanti dai palazzi del potere centrale e periferico – appaiono sensati e giusti. Per chi, da cattolico, continua a considerare l’impegno politico come la più alta forma della "carità", si condensano nel serio esame della credibilità e della coerenza complessiva della proposta personale e partitica dei candidati. Coerenza tra ciò che si dice e ciò che si vive e si testimonia con la propria condotta. Coerenza tra i valori che fondano la convivenza civile (tutela di ogni vita umana, sostegno della famiglia fondata sul matrimonio e definita anche dall’art. 29 della nostra Costituzione, promozione del bene comune nel rispetto della libertà di credere, pensare ed educare) e i programmi di governo della città. Coerenza tra la dichiarazione di voler servire l’interesse della comunità e il proprio, verificabile disinteresse. Coerenza, niente di meno. Ora più che mai.
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