mercoledì 16 luglio 2014
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In un qualunque sistema democratico, la riforma delle istituzioni e della pubblica amministrazione esprime la qualità del rapporto tra "governanti e governati" e l’idea che la maggioranza politica pro tempore ha dei confini tra "autorità e libertà". Assumendo una prospettiva sturziana (e di economia sociale di mercato) è possibile trarre alcune considerazioni circa l’attitudine di tali riforme a rendere o meno le istituzioni maggiormente "inclusive". Proprio su questo terreno, le riforme in parte attuate e in parte annunciate dal Governo Renzi sul fronte della burocrazia e sulla trasformazione del Senato, aprono ampi spazi di analisi sui quali sarebbe auspicabile un alto livello di confronto. Facciamo due esempi. Il primo riguarda la dirigenza pubblica e il secondo la riforma del Senato.Il timore di chi scrive è che la riforma della burocrazia, in parte attuata e in larga parte solo annunciata, finisca per segnare la fine dell’imparzialità della pubblica amministrazione. E questo perché si introducono meccanismi di affidamento degli incarichi dirigenziali tali da accentuarne la dipendenza dalla politica a tutti i livelli, a discapito – a nostro parere – della competenza e minando alle fondamenta un baluardo posto dai padri costituenti a tutela di tutti i cittadini: il principio di legalità, di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione rispetto al potere politico. Chi impedirebbe all’amministrazione di perseguire l’interesse pubblico in modo parziale, a discapito della minoranza e a vantaggio della maggioranza? Chi le impedirebbe di avvantaggiare qualcuno, colpendo gli avversari politici o i cittadini che, semplicemente, non si sentono rappresentanti dalla maggioranza pro tempore? Il tutto in un contesto in cui si registra un ridimensionamento delle possibilità di accesso da parte del cittadino alla giustizia amministrativa (custode del rapporto tra autorità e libertà). Oltretutto, si giungerebbe al paradosso più volte denunciato da Luigi Sturzo e da Wilhelm Röpke, per cui la corruzione verrebbe combattuta anziché riducendo gli spazi di discrezionalità e di parzialità dell’amministrazione, ampliando i punti di contatto tra politica e amministrazione... Il secondo esempio riguarda la riforma del Senato. La prospettata riforma, oltre a non completare il percorso di decentramento politico-amministrativo, appare un arretramento anche sul fronte dell’ammodernamento delle istituzioni democratiche, non superando del tutto il bicameralismo perfetto, creando una sorta di doppione della Conferenza Stato-Regioni e, soprattutto, riportando al livello centrale le competenze concorrenti di cui all’art. 117 della Costituzione, in contrasto con il principio di sussidiarietà verticale (cioè tra i livelli istituzionali e amministrativi locali e centrali), senza peraltro incidere né sulla burocrazia del Senato, né sul ridimensionamento degli apparati burocratici regionali, ormai insostenibili doppioni dell’amministrazione ministeriale.La riforma del Titolo V della Costituzione era certamente imperfetta; tuttavia, alla luce del principio di sussidiarietà verticale, a giudizio di chi scrive sarebbe opportuno procedere verso il completamento della regionalizzazione, con un ulteriore ridimensionamento dei compiti del legislatore statale, in relazione alle cosiddette funzioni essenziali dello Stato a fronte, invece, del rafforzamento delle competenze statali sulle cosiddette materie trasversali quali la "definizione dei livelli essenziali di diritti civili e politici", la "concorrenza" e il "coordinamento della finanza pubblica". Non pare, quindi, che i tentativi di riforma sin qui attuati o in discussione, seppur necessari e auspicati, vadano propriamente nella direzione di rendere più inclusive le nostre istituzioni. L’attuale scenario politico e la sfida "inclusiva" lanciata da Papa Francesco impongono ai cattolici italiani di rinnovare il loro impegno in politica, affinché possano contribuire all’interessante processo di rinnovamento avviato dal Governo Renzi, portando in dote nell’arena politico-culturale quella visione dei confini tra "autorità e libertà" e di "limite invalicabile del potere politico", propria della Dottrina sociale della Chiesa e patrimonio della cultura popolare sturziana e dell’economia sociale di mercato.
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