Rifare un mondo in cui non ci si nutra di morte
martedì 26 aprile 2022

Quando comincio a scrivere, la notizia è che domani sarà giustiziata in America una donna accusata e condannata per aver ucciso una figlia. Quando finisco l’articolo, l’esecuzione della condanna è sospesa. In America, negli Stati che hanno la pena di morte, per meritare la condanna a morte basta aver ucciso più qualcosa. Per esempio, aver ucciso uno che era un agente. Allora hai ucciso quell’uomo ma hai anche colpito lo Stato. Meriti la morte e lo Stato ti ucciderà. C’è una forte mobilitazione per la donna che doveva essere uccisa domani, e la mobilitazione si spiega col fatto che ci sono molti dubbi sulla sua colpevolezza: la figlia che lei è accusata di aver ucciso potrebbe essere morta per altre cause.

Ma qui non sostengo la tesi che non va uccisa perché non ha ucciso, mi limito a sostenere che non va uccisa e basta. Nessuno ha il diritto di uccidere, neanche lo Stato. Anzi, tanto meno lo Stato. Lo Stato questa donna l’ha catturata, l’ha processata, la tiene in prigione, se lei ha ucciso è sicuro che non potrà più uccidere, allora che bisogno ha di ucciderla? Ucciderla applica il principio dell’occhio per occhio. Che quando fu introdotto non era un principio assurdo.

Storicamente, si può comprendere. Ha avuto la sua efficacia nel ridurre le uccisioni. In certe società è ancora applicato. Ci sono società nelle quali la donna che ha avuto il marito ucciso ha il diritto di uccidere l’assassino, che le vien consegnato steso a terra e legato, con un coltello accanto al collo: la donna si china, prende il coltello, con gli occhi cerca nel collo la vena buona, e con un colpo della mano la taglia, poi si drizza in piedi e guarda il sangue sgorgare.

Il Diritto che stabilisce ed esegue questa giustizia credo che abbia in mente la catarsi. La visione del sangue che sgorga dal collo dell’assassino di suo marito dovrebbe attuare nel cervello e nel cuore della vedova la catarsi, proprio nel senso aristotelico del termine: la soddisfazione del bisogno di vendetta. Lo Stato mira ad avere cittadini placati. Ma quello che sto cercando di dire è che la morte non rimedia alla morte. Se la morte è uno sgorbio nel disegno della vita, due morti sono due sgorbi.

Ho visto i filmati dei cittadini americani che assistono all’esecuzione dell’assassino della loro figlia: l’assassino è legato nel letto dell’esecuzione con le braccia aperte e bloccate, in un braccio è piantata la siringa del veleno mortale, lo stantuffo della siringa è azionato da un congegno elettrico, ad ogni ondata di veleno il morente ha una scossa, ad ogni scossa del morente i genitori della sua vittima deglutiscono, si vede il pomo d’Adamo che va su e giù. Si nutrono della morte dell’assassino, la morte è il loro cibo. Li sazia.

Vorrei una società in cui nessuno si nutra della morte altrui, come le iene. Chi ha fatto del male si redime con la coscienza del male che ha fatto. Son tempi lunghi? Diamogli i tempi lunghi. Ci vuole una vita? L’ergastolo serve più della pena di morte. Ma queste sono parole inutili, per chi ha già il pomo d’Adamo che va su e giù, nervosamente. Per fortuna nel caso odierno la Giustizia americana s’è fermata in tempo. Anni fa scrivemmo che gli Stati che eseguono la condanna a morte vanno esclusi dall’Onu. Rilanciamo quella proposta.

L’uomo che uccide non può avere i diritti civili, lo Stato che uccide non può stare all’Onu.

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