sabato 26 gennaio 2013
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C’è una questione assai seria al centro della crisi che sperimentiamo, ed è davvero il caso di definirla di vitale importanza. Il tema del messaggio che i Vescovi italiani hanno indirizzato a tutti noi in occasione della 35ª Giornata nazionale per la vita ci aiuta a metterlo bene a fuoco: «Generare la vita vince la crisi». Comprendere questo significa, infatti, andare al cuore del problema della perdita di senso e di fiducia che piaga le nostre società. E qui bisogna essere subito chiari con quelli che… “ma che c’entra la vita con la crisi?”. Quelli, cioè, che a sentirsi dire una cosa così forte e vera e controcorrente, una cosa che in tempi di sconcerto e di sconforto unisce il “generare” al “vincere”, alzano il sopracciglio un po’ ironici e un po’ interdetti e subito dopo diventano polemicamente aggressivi. Purtroppo ce ne sono, e non sono pochi né poco influenti nel mondo della politica, della cultura e dei mass media. Proprio per questo bisogna essere capaci di dire chiaro e tondo che già solo per quella incredula sufficienza, per quel rifiuto di ragionare senza preconcetti e ideologismi sulla necessità    di rifare feconde le nostre vite e le nostre attese, essin si fanno conniventi o persino complici attivi dei cinici signori della crisi. Ovvero di quegli “spacciatori di egoismi” che si illudono di poter continuare a spadroneggiare sulle vite delle persone e a ridurre a puro calcolo economico il “valore” dell’uomo e della donna.

Proprio così, si illudono. Perché, come avverte un aforisma amato da Abramo Lincoln e da John F. Kennedy, «si può riuscire a ingannare tutti una volta, qualcuno qualche volta, ma mai tutti per sempre». E questa crisi così dura e picconatrice di comode certezze e di sacrosante conquiste sociali sta aiutando tanta gente, tanti che già sono padri e madri o che possono diventarlo, ad aprire gli occhi. A rendersi conto di che cosa accade quando la persona umana non è il permanente, indiscutibile e intangibile “valore di riferimento”. Quando la vita che ogni uomo e ogni donna vivono e che, insieme, possono generare con naturale gioia e salda responsabilità (questo è il senso del matrimonio) non viene riconosciuta e rispettata come un essenziale tesoro, il “capitale” che non ci si deve azzardare a intaccare, se si vuole continuare a pensare e sperare il futuro. E questo – Papa Benedetto non si stanca di ricordarcelo – vale per tutti e ovunque nel mondo. Vale, pensate un po’, persino nello spesso sconclusionato dibattito pre-elettorale italiano, nel quale sta riuscendo a trovare spazio (speriamo non solo retorico) una più acuta e preziosa consapevolezza che «generare la vita vince la crisi». Nell’attuale classe dirigente, c’è infatti qualcuno che ha saputo vedere, e ha cominciato a dire, che alla base del declino complessivo dell’Italia sta il suo troppo a lungo snobbato (e addirittura applaudito) declino demografico. Tanti altri hanno duramente sperimentato e compreso, come si sottolinea con forza nel Messaggio della Cei, che privare la nostra società «dell’insostituibile patrimonio che i figli rappresentano, crea difficoltà relative al mantenimento di attività lavorative e imprenditoriali importanti per il territorio e paralizza il sorgere di nuove iniziative». Potremmo dire, con una battuta che per ora è soprattutto un augurio, che il sensibile processo di invecchiamento della nostra popolazione ci sta forse cominciando a fare un po’ più saggi, certo più avvertiti.

È davvero tempo di ritrovare una sapienza antica: disimparare a generare è disimparare a sperare, a condividere, a progettare. È, in buona sostanza, disimparare a nutrire un desiderio che ci porta in alto, che non si fa mai soliloquio o, peggio, capriccio. E noi, che siamo stati indotti a credere che sposarsi e avere figli sia una specie di lusso, non possiamo continuare a permetterci vuoti di comprensione di generatività che sono la nostra vera miseria. Così come non dovremmo permetterci di dimenticare o di mettere tra parentesi che ogni bambino che sta nascendo è «Uno di noi». Uno di noi, con la stessa pienezza e lo stesso diritto. Con questa idea-forza il Movimento per la vita italiano, assieme a più di trenta Movimenti fratelli di tutta l’Unione Europea, ha lanciato una grande iniziativa continentale “dal basso” – la prima mobilitazione del genere, resa possibile dal nuovo Trattato di Lisbona – che con la raccolta di firme (nei modi tradizionali e tramite internet) dei cittadini dei ventisette Stati membri chiede di estendere «la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell'integrità di ogni essere umano fin dal concepimento in tutte le aree di competenza della Ue». Per amore e per civiltà, per giustizia e per pura e semplice lucidità nel valutare le cose della vita, dovremmo partecipare tutti, dovremmo firmare con slancio. Lo stesso slancio che ci viene chiesto di esprimere, in questa Giornata per la vita 2013, nella riscoperta della «logica del dono», senza la quale c’è solo l’appuntamento con sempre nuove crisi, senza la quale non c’è umanità e non ci sono figli. E sono i figli che danno ai padri e alle madri l’umanissima voglia di mettere in cantiere e di mettersi in viaggio, sono i figli che ci fanno affrontare asprezze, titubanze e scoramenti, sono i figli (anche quando non lo diciamo neanche a noi stessi) che ci fanno “vincere” la sfida.

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