Riavvicinare le sponde
martedì 1 marzo 2022

«Oggi il bacino del Mediterraneo si estende fino all’Ucraina». Non c’è forse immagine più efficace di queste parole del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, per riassumere che cosa sono state le 'cinque giornate di Firenze', dove si è svolto l’Incontro dei vescovi e (per la prima volta) dei sindaci dell’antico Mare Nostrum. Cinque giornate in cui, come ha detto domenica il presidente Sergio Mattarella, il capoluogo toscano si è trasformato in «centro della speranza di pace» in quest’ora buia per le notizie terribili che arrivano dall’Ucraina. Firenze non è stata dunque in una 'bolla' fuori dal mondo, ma ha chiamato e richiamato Kiev dal primo all’ultimo momento dei lavori. Ha saputo incanalare la sua agenda di temi e di dialoghi nel grido di pace che saliva da tutto il mondo, schierandosi al fianco di chi – poveri, donne, anziani e bambini (lo ha ricordato all’Angelus il Papa «con cuore straziato») – da questa guerra sta subendo le ferite più gravi e dolorose.

Vescovi e sindaci lo hanno fatto levando compatti, insieme a Francesco, la loro voce per chiedere di «far tacere le armi» e «di tornare a trattare».

Una richiesta messa nero su bianco nel corso dei lavori e, infine, anche nella 'Carta di Firenze', il documento che costituisce non solo l’approdo condiviso di tutto il percorso, ma anche il primo passo di nuovi e promettenti sviluppi all’insegna del bene comune e della fratellanza tra gli uomini, così cara a papa Bergoglio. In questo senso, dunque, l’Incontro promosso dalla Cei, con il contributo del sindaco Dario Nardella e dell’arcidiocesi fiorentina guidata dal cardinale Giuseppe Betori, è diventato vessillo di quello che don Tonino Bello chiamava «il popolo della pace», ha offerto un orizzonte e delle linee guida a tutti coloro che lavorano alla sua costruzione. In definitiva ha mostrato come 'vaccinare' contro quel virus, temibile quanto il Covid se non di più, che si chiama guerra. Possiamo anzi dire che lo spirito di Firenze si affianca, integrandolo, a quello di Assisi.

E che nel costante 'chiamare e richiamare' Kiev dei giorni scorsi si intravvede già l’opera di chi si sta adoperando fin da ora per gettare un ponte verso un futuro realmente differente. A due passi dalle fornaci i cui venivano cotti i mattoni serviti a Brunelleschi per la sua magnifica cupola, l’Incontro dei giorni scorsi ha sfornato materiali imprescindibili per costruire la casa della pacifica convivenza tra i popoli.

Ciò avviene quando uomini di fedi, culture, appartenenze politiche diverse hanno il coraggio di incontrarsi e guardarsi negli occhi, quando accettano la fatica del dialogo e l’arte della mediazione capace di fare sin- tesi, quando si mette in campo quella «diplomazia delle città» nella quale fu maestro Giorgio La Pira e che qui ha potuto nuovamente dispiegarsi. Diplomazia tanto più importante, quanto più si prende coscienza che è proprio sul territorio e su quanti lo abitano che si scaricano gli effetti tragici di ogni guerra, sia in termini di morti e distruzioni, sia per accogliere coloro che fuggono e hanno perso tutto. Chi, dunque, meglio dei sindaci e dei vescovi può avere a cuore la promozione della pace e adoperarsi per tutelarla? Ecco quanto è stato fatto a Firenze, insieme all’analisi dei problemi comuni dell’area – migrazioni, cambiamenti climatici, emarginazione sociale, povertà, intolleranza anche religiosa – alla ricerca delle cause e delle possibili soluzioni.

E perciò non si può non scorgere nel dialogo dei vescovi e dei sindaci un’impronta interamente e profondamente 'bergogliana': la messa in pratica della Fratelli tutti e del 'Documento sulla fratellanza umana' di Abu Dhabi. Su questa linea dunque il contributo tutto mediterraneo alle ragioni della pace davvero si estende fino a Kiev e va anche oltre, offrendosi come paradigma per la prevenzione di ogni conflitto. Dove c’è fratellanza non c’è spazio per la guerra. E allora come non richiamare, a simbolo del necessario cambio culturale invocato nelle 'cinque giornate di Firenze', la suggestiva proposta del cardinale Cristòbal Lòpez Romero, arcivescovo di Rabat? Guardare la cartina del Mare Nostrum in verticale. Non avremmo più la sponda nord sopra e la sponda sud sotto, ma due sponde che si guardano e dialogano. Come sorelle, come fratelli.

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