venerdì 30 luglio 2010
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Il crocifisso è in attesa di giudizio. In appello presso la Grande Chambre della Corte di Strasburgo. La croce, i due assi ai quali generazioni di cristiani hanno affidato le loro sofferenze, le attese e le speranze; quegli stessi che hanno nominato la storia di due millenni, sono adesso in attesa di giudizio da parte di una giuria chiamata a decidere non si sa con quali criteri giuridici, storici, filosofici oppure solamente politici e di opportunità. E, come sempre accade alla vigilia di un pronunciamento, c’è già chi si dispone ad accogliere positivamente il verdetto peggiore. Non solo tra gli oppositori della fede (che non mancano), ma anche tra i credenti, alcuni dei quali presumono di essere gli autentici (e soli) interpreti della democrazia.Più volte abbiamo sentito ripetere che la rimozione dei crocifissi dai locali pubblici, altro non sarebbe se non un recesso degli ultimi lembi di un «potere temporale» che ancora sarebbe esercitato dalla Chiesa gerarchica. Molti di questi neo-secolaristi credenti, così facendo, pensano di accreditarsi come soggetti protagonisti della modernità e dei tempi nuovi, senza sapere (o trascurando di farlo) che la storia ha già vissuto passioni iconoclaste e ha già sperimentato l’odio per la croce e per qualsiasi altro segno della fede.E si capisce: la croce, infatti, è anche giudizio; annuncio dell’ineludibilità per l’uomo del doversene fare carico per la salvezza. La croce cioè, diversamente da quanto si vorrebbe far credere, non è il simbolo di una ingiustificabile «potenza temporale» della Chiesa, ma, al contrario, lo è della sua condizione di debolezza (e di peccato) e, dunque, dell’ansia di salvezza della cristianità. Con questi suoi intrinseci valori, la croce è stata confitta nella contraddittoria vicenda umana, nella storia. Segno a un tempo di pentimento e di speranza. Via faticosa per migliorarsi e simbolo intangibile d’amore. Così la croce ha accompagnato la storia dell’uomo; così essa ne ha segnato il lungo cammino fino a oggi, accettando di essere scacciata, aggredita e schernita, ma sempre risorgendo incorrotta sull’orizzonte della coscienza dell’uomo e sua maestra.Quando da ragazzo vedevo il crocifisso sulla parete dell’aula della scuola, sapevo che lì e, sia pure invisibile, in ogni altro luogo, esso vegliava sulla mia fatica di vivere. E così sempre mi ha accompagnato, facendomi riconoscere persona nei percorsi del dolore e anche del conforto alla sua pena. Dove c’è l’uomo sempre c’è una croce e nessuna corte, seppure avesse deliberato da sopprimerla, potrebbe poi impedire che essa rinasca liberamente nel cuore dell’uomo come criterio ultimo e decisivo di giudizio tra il bene e il male.Io non so quali donne e uomini "togati" nel prossimo autunno, saranno chiamati a giudicare la croce e non voglio neppure saperlo. Ma spero che tutti i credenti (anche quelli "democratici") sentano il dovere di testimoniare la loro fedeltà (e il loro amore) a questo segno semplice e drammatico sul quale anche la nostra umanità ha scritto, con caratteri incancellabili, la sua storia e la sua ansia di bene.
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