mercoledì 5 ottobre 2011
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Abbiamo festeggiato ieri il patrono d’Italia. Chi non si è fermato alla retorica o alla untuosità che riduce i santi a santini, può fissare nella figura d’immensa bellezza e scandalo di Francesco d’Assisi un tratto, una dote che di questi tempi dobbiamo supplicare per il nostro Paese. Francesco ha mostrato in tutta la sua vita un’apertura all’altro che è diventata segno ricorrente della sua biografia. Nel noto episodio del bacio al lebbroso, ad esempio, il santo che tornò dalla guerra e invece di reimmergersi negli agi seguì madonna povertà e cercò la perfetta letizia della fede, dimostra che ogni uomo, anche il più reietto e abbandonato, merita un abbraccio. Nessuna lebbra, nemmeno quella più oscena o profonda, nessuna esclusione o lontananza è lasciata fuori dall’abbraccio del santo, cioè dell’ideale di uomo a cui tutti dobbiamo e possiamo tendere.Francesco, come sa chiunque abbia letto i suoi scritti, non era certo un "tenerone", né un sentimentale. Sapeva che nella natura (compresa quella umana) ci sono cose meravigliose ma anche lupi da ammansire. L’apertura all’altro essere umano e a ogni espressione del creato da parte di Francesco – da cui ha preso avvio la prodigiosa instancabile opera di carità ovunque offerta dai suoi frati – non si basava su un’utopia o su un pacifismo di natura ideologica o politica. La vita del santo è segnata da una radicale apertura all’Altro da cui proviene misteriosamente la vita e che dunque segna ogni volto incontrato, ogni cuore, ogni vita - per quando raminga o sbandata sia. In questa Italia che dà il peggio di sé ogni volta che prevalgono faziosità e chiusura, l’esempio di Francesco torna forte e chiaro. Che sia nostro patrono oggi, per così dire, dovrebbe valere di più. Maggiore dev’essere la supplica e maggiore può essere la passione nel seguirne l’esempio. Nel suo testo più noto e contenuto in tutte le antologie scolastiche nonché ripetuto in molti modi e rilanciato da canzoni e film, Francesco alza la sua lode per le creature. il suo Cantico è un abbraccio infinito a quanto Dio ha creato. Di ogni creatura in quel testo Francesco loda caratteristiche preziose. E a un certo punto in quel teatro di creature, dal sole alle stelle, dall’acqua al fuoco, Francesco mette in scena l’uomo. E non a caso, la caratteristica dell’uomo che annota come motivo di lode a Dio è la nostra capacità di "perdonare". Il perdono è il segno più profondo della nostra libertà in azione. Una virtù che non risiede in nessun’altra creatura. Solo l’uomo infatti può rompere la catena di causa-effetto che domina nel mondo naturale, che se assunta come legge tra gli uomini spesso sembra giustificare i peggiori sentimenti di chiusura e le peggiori azioni di esclusione.Francesco, uomo delle aperture, loda Dio perché l’uomo è capace di rompere la catena che causerebbe chiusure e occlusioni. Il perdono è infatti il gesto più libero e supremo di apertura all’altro, anche quando pensiamo che l’altro non lo meriti, o che sia segnato da qualcosa di orrendo o incorreggibile. Senza apertura, e senza quel culmine drammatico dell’apertura, senza perdono, diciamolo, nessuna vita può definirsi veramente umana. E nessuna società può vivere senza ridursi a serraglio di lotte. Oggi ci sono molti motivi – come e più di sempre – perché l’Italia guardi al suo patrono. Lo guardi come si guarda un vero grande italiano, uno di cui abbiamo davvero bisogno.
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