Quel che si può e che serve
giovedì 3 maggio 2018

Nei modelli di competizione politica alla Hotelling (lo studioso che creò una base analitica applicabile alla competizione politica come alla concorrenza oligopolistica) la regola della differenziazione del 'prodotto' porta all’equilibrio della convergenza al centro in presenza di elettorati moderati. In sistemi bipartitici i candidati scelgono di distinguersi molto poco e conquistano circa metà degli elettori. Questo modello ha predetto esattamente i risultati di alcune elezioni famose (tra Berlusconi e Prodi o tra Bush e Gore) in periodi di relativa stabilità economica in cui gli elettorati avevano queste caratteristiche. Viviamo al contrario oggi i postumi di una lunga crisi economica che ha radicalizzato l’opinione pubblica.

Che su molte questioni (migrazioni, Europa) si è in gran parte allontanata dal centro e dalla moderazione. In questo caso l’equilibrio della competizione politica predice comportamenti esattamente opposti. Le forze politiche differenziano il prodotto e si dividono radicalmente per conquistare le opinioni estreme (nascono così i populismi). Se poi il sistema elettorale le costringe a dover cercare un accordo per poter formare il governo, mettersi alle spalle i veleni della competizione elettorale diventa difficile. Lo sguardo di chi non è dentro la contesa politica può in alcuni casi aiutare.

Chi sinora ha ragionato sul possibile 'contratto' tra Movimento 5 stelle e le altre due maggiori forze politiche ha trovato 51 punti di contatto su cui si può costruire un’esperienza di governo. Si va dalla difesa del made in Italy con tracciabilità della filiera e denominazione d’origine, alla sburocratizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione, alle politiche per la sostenibilità ambientale in materia di rifiuti e di energia, alla riduzione dei ritardi della giustizia civile. I punti più critici sono quelli delle riforme del mercato del lavoro e della scuola. Mentre, a proposito della rete di protezione universale abilitante, l’allargamento del reddito d’inclusione avviato dal Governo uscente può essere un punto d’incontro. Il Paese ha urgente bisogno che alcune ottime iniziative (industria 4.0, ecobonus, aree economiche speciali nel Sud) proseguano.

E che la tendenza al graduale risanamento della finanza pubblica senza austerità sia portata avanti per continuare a produrre risultati nel tempo. I dati dell’occupazione di ieri sono incoraggianti ed indicano che forse i provvedimenti recenti opportunamente rinforzati e corretti ci consentirebbero di continuare a cavalcare la ripresa. A questo punto, dunque, bisogna domandarsi se davvero i politici debbano solo inseguire la 'pancia' degli elettori e calcoli di parte, rimanendo schiavi dei sondaggi del giorno prima e del giorno dopo. Se devono pesare e ponderare le proprie mosse non pensando ad un orizzonte di cinque anni, ma a quello delle elezioni locali che si svolgeranno di qui a una settimana. Devono insomma scegliere la via facile o quella più difficile? «Mi fido di te, dimmi cosa sei disposto a perdere», recita una famosa canzone di Jovanotti. Restare sulla sponda delle proprie convinzioni o provare a salpare per costruire assieme una nuova rotta sfidando gli umori di parte del proprio elettorato? Fuori da quest’ancora di salvezza, lontano dalla zattera dell’accordo a cui aggrapparsi, non resta che una nuova campagna elettorale che rischia di scoperchiare nuovamente il vaso di Pandora delle promesse irrealizzabili alimentando ulteriormente una fuga dalla realtà che in questo momento e con tante questioni in ballo sarebbe una droga pericolosa per il Paese.

E come è gia stato annotato dal direttore di questo giornale, senza una riforma elettorale vorrebbe dire riprodurre con ogni probabilità esattamente la stessa situazione in cui ci troviamo. Il pragmatismo certe volte è più facile a livello locale che a quello nazionale. Nella regione Lazio a Nicola Zingaretti non bastano i voti del Pd e avrà l’appoggio esterno del Movimento 5 stelle. E se vorrà avere la fiducia, il suo programma dovrà muovere in direzione della lotta alla povertà e della sostenibilità ambientale. A livello nazionale la cosa si potrebbe ripetere a parti invertite. Il dilemma si scioglierà oggi, a quanto pare senza sorprese 'aperturiste', nella Direzione del Pd. La chiusura del non facile tentativo di dialogo M5s-Pd è, infatti, già segnata e metabolizzata nel dibattito politico, dopo le rinnovate prese di posizione contrarie di Matteo Renzi e dei suoi. I renziani, che per cultura politica sembrano più lontani dai pentastellati avrebbero probabilmente gradito maggiormente una forza di centrodestra moderata ed europeista con cui fare sponda, ma queste condizioni oggi non esistono.

E, se non arriverà la sorpresa di una riapertura del 'forno' M5s-Lega, resta solo il bivio tra un voto anticipato all’insegna del 'tanto peggio tanto meglio' e un estremo tentativo di 'camminare insieme', scontentando ognuno una parte dell’elettorato, e dando vita a quello che su queste pagine è stato ripetutamente definito, già all’indomani del voti del 4 marzo, un «governo utile». Aiuterebbe le parti la saggezza di pensare di non avere tutta la verità, oltre che non tutti i voti necessari. Alcune differenze esasperate dalle tattiche della competizione politica tra maggioranza ed opposizione forse sono minori di quanto sembri. Bisognerebbe partire dal presupposto, opposto all’atteggiamento identitario muscolare che caratterizza tristemente il dibattito politico, che gli altri portano esperienze e punti di vista diversi che possono arricchire il mio e che ci sono poche eppure essenziali cose da fare assieme per l’Italia. Nonostante tutto, una strada stretta e difficile ma possibile, forse, esiste.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: