Quel che il Meeting dimostra
sabato 25 agosto 2018

Nel mondo dei media resiste una vecchia abitudine di valutare il Meeting di Rimini in base agli applausi raccolti da questo o quel leader politico. Quando invece a essere applauditi sono attori o filosofi o luminari scientifici, o quando le sale si riempiono per ascoltare i testimoni della fede, gran parte dei media fa spallucce e soloneggia sul 'fallimento' della manifestazione. La quale, puntualmente, fa però il pieno di visitatori e si conferma come l’unica tribuna estiva per una discussione libera e plurale.

Questa dislessia, che sta conducendo all’alessia, cioè all’incapacità del sistema mediatico di leggere, capire e raccontare ciò che avviene davvero nella società italiana, ci mette di fronte a due Meeting: quello reale e quello che entra nel dibattito pubblico, che in Italia è ancora pesantemente tributario della politica e dei suoi corifei. La Rete, poi, riverbera e ingigantisce per ragioni tutte sue quest’incapacità di cogliere quale strana creatura sia il Meeting di Rimini: un incontro interpersonale di massa, che nel tempo della pigrizia digitale continua a portare 160mila persone a partecipare a un evento fisico, fatto di sguardi, di abbracci e anche di fatica e di sudore, oltre che di parole, slogan, jingle e sponsor.

Quest’anno a Rimini non si sono visti capipartito, è vero, ma per il Meeting non è cambiato nulla. La solita, pacifica e calda alta marea di persone. Testimoni e storie capaci di suggestionare e far riflettere. Soprattutto, messaggi positivi e di riconciliazione, diretti a scalpellare un’antropologia negativa che legge la Storia attraverso le lenti del conflitto e di una rottamazione che sembra guidata più da istinti antropofagici che dalla volontà di innovare.

Il problema del Meeting non è, dunque, l’assenza dei leader, ma l’incapacità italiana di leggere ogni evento che non si risolva in un’ordalia, bensì nell’incontro fiducioso con l’altro. Realtà, apertura e pluralismo sembrano moneta fuori corso sul mercato della politica e dei media, è pericolosamente anche su quello della società e della cultura. Non è sempre stato così: prima, c’era un’Italia che sapeva ascoltare di più l’altro e lo rispettava nel momento stesso in cui lo contrastava dialetticamente. Ritrovarla, e il Meeting dimostra che si può fare, ci permetterà di porre domande nuove e avere risposte migliori.

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