venerdì 29 novembre 2013
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Caro direttore,
ho lavorato per moltissimi anni nella stessa azienda. Un mattino mi comunicano che non servo più. Sono invalido ma, a quanto pare, poco importa. I tuoi colleghi, quelli che ti chiamavano a tutte le ore per i loro problemi, spariscono. Si fa sempre più forte la preoccupazione, a 55 anni, per la riduzione del reddito e per la malattia. Il mio mondo sembra crollare. Con la riforma Fornero la pensione si è allontanata di molti anni e spesso non riesco a immaginare il mio futuro. Per fortuna ho una famiglia e amici più forti delle avversità, a loro devo la forza di continuare a sperare. Spesso parlo con altre persone e mi accorgo che tutti hanno un velo di paura e di malinconia. Penso sempre alla solitudine di alcuni e a volte la subisco io stesso. Forse ci siamo persi nelle macerie delle brutte notizie...
Antonio Mo​ntoro, Biella
Già, le «macerie della brutte notizie» pesano, deprimono e sviano… Per questo a noi di 'Avvenire' non piace accumularle in pagina. Vedo però, caro signor Montoro, che lei non si lascia schiacciare e, pur nell’amarezza, testimonia a tutti noi i due punti d’appoggio e di forza che le consentono di «continuare a sperare»: famiglia e amici. In questi anni, molti stanno sperimentando e riscoprendo l’importanza delle relazioni fondamentali per la vita di ogni persona. La famiglia, non è certo una scoperta dell’ultima ora, è una risorsa enorme e una straordinaria, davvero unica e inimitabile, scuola pratica di vita, di fedeltà d’amore. So bene che gli spacciatori di 'brutte notizie' la raccontano sistematicamente e persino con compiacimento nei suoi aspetti più problematici e, persino, tragici. E so altrettanto bene che così si arriva addirittura a teorizzare una società «liberata dalla famiglia tradizionale» come una società migliore, più umana e più felice. Una bugia, che si rivela clamorosamente tale proprio in fasi di dura crisi dell’economia e del lavoro come quella che stiamo vivendo e dalla quale lei, caro amico, è personalmente toccato. Quanto agli amici, la saggezza popolare insegna che «si riconoscono nel momento del bisogno» (che può essere, in tanti modi diversi, sia materiale sia morale). È verissimo. E senza nessuna retorica posso raccontarlo anch’io, proprio come lei. Per questo cerco di ricambiare, con la stessa semplicità e onestà, ciò che ho ricevuto e continuo a ricevere: dai miei fratelli, da compagni di strada di una vita, da persone incontrate lungo il cammino e mai più perse, da vecchi e giovani maestri che ho stimato e stimo tali… Quando un amico è in difficoltà, quando subisce prove e avversità, quando paga per i suoi sbagli non c’è altro da fare che continuare a stargli vicino e accanto con tutto il possibile rispetto. Lei ha proprio ragione: ci sono momenti inevitabile di solitudine e di scoramento, persino di paura. Ed è proprio in quei momenti che ragionare aiuta, combattere la rassegnazione e darsi da fare risulta essenziale, ma scoprirsi e riscoprirsi amati è decisivo: sostiene, ridà slancio e comunque risolve. Chi non è, e non si sente, solo non è mai all’angolo.
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